Intervista a David Harris: “Il nostro compito è quello di ristabilire la verità”

DH

di Luca Spizzichino e David Fiorentini

 

Definito dal New York Times il “decano delle organizzazioni ebraiche americane” e dal defunto presidente israeliano Shimon Peres il “ministro degli esteri del popolo ebraico”. Dal 1990 fino ad oggi, David Harris, uno degli attivisti americani più importanti, ha guidato l’American Jewish Committee (AJC), una delle più antiche organizzazioni di advocacy ebraica.

Durante la sua lunga carriera all’AJC è stato premiato più di 20 volte da governi stranieri per il suo lavoro internazionale, rendendolo il leader ebreo americano più decorato nella storia degli Stati Uniti. Formatosi all’Università della Pennsylvania e alla London School of Economics, è stato visiting scholar alla Johns Hopkins University e alla Oxford University.

Durante la scorsa Summer U in Italia Harris è intervenuto di fronte agli oltre 200 partecipanti per ispirare il loro ebraismo e il loro attivismo. HaTikwa ha avuto l’opportunità di intervistarlo in esclusiva.

 

Prima di tutto, volevamo iniziare con un piccolo aneddoto. Dato la sua lunghissima carriera nel mondo dell’attivismo ebraico. Qual è il suo primo ricordo?

Il mio primo ricordo come attivista è all’interno di un’organizzazione internazionale, molto idealista e nobile. Scoprii che un Paese mancava nella lista dei partecipanti, e quel Paese era Israele. Questa nobile organizzazione era disposta a sacrificare Israele a favore del boicottaggio arabo. Io ero indignato all’idea che fosse escluso Israele. La mia prima campagna fu cercare di far cambiare quella politica.

 

Come si chiamava questa organizzazione?

American Field Services, un’organizzazione globale molto conosciuta, con obiettivi molto meritevoli. Alla fine, Israele è diventato membro dopo che ho lasciato l’organizzazione. Spero di aver contribuito al risultato, ma la cosa più importante è che alla fine il boicottaggio arabo sia fallito. Ma l’idea che a New York questo potesse accadere una cosa del genere era davvero scioccante per me.

Ogni bambino ebreo, in Italia, come nel resto d’Europa, deve capire di cosa è erede.

Lei ha vissuto in Italia per molti anni e si è innamorato del nostro Paese. Qual è il suo miglior consiglio per l’Unione Giovani Ebrei d’Italia per mantenere vivo l’attivismo ebraico?

Prima di tutto, mi sono innamorato dell‘Italia quando mi sono trasferito qui nel 1975. Poi mi sono innamorato in Italia dove ho incontrato la mia futura moglie, che era un membro della comunità ebraica tripolina a Roma. I nostri figli sono tutti cittadini italiani e parlano italiano. Ci sentiamo molto vicini a questo Paese anche se ora viviamo negli USA.

Penso che gli ebrei italiani siano gli eredi di una straordinaria storia, civiltà e cultura. Penso che sia qualcosa che vale la pena preservare, proteggere e arricchire. Non posso dire se tutti capiscano quanto lungo sia stato il viaggio, ma piuttosto che rinunciarvi, penso che sia il momento di abbracciarlo, di affermarlo e di celebrarlo.

Per più di 300 anni, gli ebrei romani furono chiusi dentro le mura di un ghetto, ogni sera quando il sole tramontava. Non era permesso loro di uscire fino al mattino successivo e quando lo facevano dovevano indossare un panno giallo identificativo per dire al mondo che erano ebrei. Ma nonostante tutto non hanno mai perso la loro fede. E ora, di fronte alla libertà, come possiamo perdere la nostra fede, le nostre tradizioni e la nostra identità?

Ogni bambino ebreo, in Italia, come nel resto d’Europa, deve capire di cosa è erede. Questo non è il momento di arrendersi. È un momento in cui l’Europa sta effettivamente dicendo “Abbracciamo gli ebrei, abbracciamo la storia ebraica, vogliamo saperne di più!”. In un momento in cui l’Europa si sta muovendo in questa direzione, noi dobbiamo cogliere questa occasione.

Il nostro compito è quello di ristabilire la verità e dobbiamo farlo in modo chiaro, diretto e coraggioso.

Durante il conflitto in Israele ci sono state molte manifestazioni antisioniste, che hanno portato a diversi atti d’odio. L’ennesima occasione in cui gli ebrei si sono sentiti indesiderati in Europa e timorosi per la propria sicurezza e il proprio benessere. Cosa ha fatto l’AJC per combattere questo fenomeno? Cosa pensa dobbiamo fare in questo senso?

La prima risposta per noi a maggio, durante il conflitto, è stata quella di dire la verità, perché veniva in qualche modo oscurata da molti. La verità non era che Israele era in guerra contro il popolo palestinese, come alcuni hanno cercato di raccontare. Israele si è confrontata con un’organizzazione terroristica genocida chiamata Hamas. Non credo che molti dei progressisti che sono scesi in piazza sarebbero molto contenti se Hamas governasse in Italia o in Francia o negli Stati Uniti. Dal trattamento delle donne, delle minoranze religiose come i cristiani, della comunità LGBTQ… Per cui penso che, piuttosto che stare sulla difensiva e dire “beh, Israele si sta davvero impegnando, Israele è una società liberale…”; penso che dobbiamo rimettere la questione davanti al Mondo. Prenderei lo statuto di Hamas, lo tradurrei in tutte le lingue, e lo metterei su ogni cartello pubblico, su tutti i social media e direi “Scegliete: da che parte state? Dalla parte del terrorismo o dalla parte della democrazia? Dalla parte del piromane o dalla parte dei pompieri?”. Invece troppi sostenitori pro-Israele quando vengono attaccati rispondono in modo quasi apologetico, e non credo che questo sia stato il modo migliore per gestire il conflitto.

Guardate cosa succede nelle manifestazioni anti-Israele: non usano mai la parola “Hamas”. Parlano solo del “popolo palestinese”, perché nel momento in cui parlano del gruppo terroristico, sanno che devono difendere la sua natura, cosa che non possono fare. Quindi eliminano Hamas, e lo trasformano in un conflitto tra Israele e i poveri oppressi palestinesi.

Il nostro compito è quello di ristabilire la verità e dobbiamo farlo in modo chiaro, diretto e coraggioso.

 


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