Influencer e Memoria: il senso del dovere
di Samuel Mimon e David Di Segni
Viviamo nel paese delle mezze verità, che non ha mai fatto i conti col passato. L’Italia, stretta alleata della Germania nazista durante la Seconda Guerra Mondiale, non ha mai spedito sul banco degli imputati tutti i responsabili di quei “crimini contro l’umanità” di cui il fascismo si è macchiato, né ha mai chiesto ufficialmente scusa e perdono (se mai si potesse perdonare) per aver trattato gli ebrei come dei non-cittadini. Non è un caso che, dopo la guerra, lo stato italiano non abbia intrapreso una campagna di rimpatrio nei confronti di quei pochi ebrei usciti dai campi di sterminio che, soli, hanno dovuto attraversare il mondo a piedi per tornare in quella casa che aveva voltato loro le spalle.
Nella giornata del 27 Gennaio, le parole dei politici non bastano più: ci vogliono fatti concreti. In un paese dove l’antisemitismo serpeggia e mette, nuovamente, la testa fuori dal guscio, le parole servono a poco. Per commemorare realmente i morti, bisogna difendere quei vivi che tutt’oggi lottano contro un nemico concreto, solido, fatto di teste rasate e bracci all’insù. Per questo è necessaria una maggiore applicazione delle Leggi Mancino e Fiano, per questo è doveroso non sottovalutare i piccoli atti di razzismo, che anestetizzano il sistema di difesa delle persone che li sottovalutano: consiglieri comunali che inneggiano al duce, giovani accusati di progettare attentati terroristici verso ebrei ed omosessuali, politici che elogiano i gran fascisti del passato. Abbassare la testa non è più concesso.
Ogni strumento è utile per intraprendere una campagna concreta di lotta all’antisemitismo, e non sono solo le istituzioni a poter venire incontro al problema, ma ogni persona che abbia un risalto mediatico tale da arrivare al cuore, e soprattutto alla testa, delle persone. Tra questi, gli Influencer. Nel ventunesimo secolo, nel pieno sviluppo della rivoluzione tecnologica, la figura dell’influencer rappresenta a tutti gli effetti un mestiere, ed in quanto tale comporta dei diritti e dei doveri, come quello fondamentale d’essere d’esempio per le nuove generazioni. Ad oggi, il profilo social di molti di questi oscilla sulla banda di milioni di followers (seguaci), italiani e non.
Un mestiere che negli ultimi anni è divenuto sempre più popolare e che permette guadagni da capogiro grazie alla sponsorizzazione di beni e servizi, ma non solo: pochi mesi fa, il Premier Giuseppe Conte, in piena crisi pandemica, è arrivato al colloquio con due noti influencer del nostro secolo, Chiara Ferragni e Fedez, chiedendo loro aiuto per la campagna di sensibilizzazione su l’uso della mascherina. Una mossa azzardata, apprezzata e discussa, ma che sicuramente lancia un messaggio: le parole di un influencer, anche se solo tramite un social network, hanno una risonanza non indifferente su coloro che li seguono. Per questo è necessario che oltre alle parole giungano i fatti e che il tema di Memoria venga sviluppato con ogni mezzo disponibile della nostra società.
In una data come quella da poco passata, 27 Gennaio – Giornata della Memoria, vedere nelle Instagram Story di molti di loro un solo post dedicato alla Shoah, e le restanti a sponsor di ogni genere fuorché di carattere storico, ci lascia un po’ perplessi e ci fa riflettere: conta più il danaro o la memoria? E se la memoria non può essere monetizzata, non è degna d’esser oggetto di sensibilizzazione? Nulla è dovuto, sono profili personali quelli delle persone di cui stiamo parlando e come tali bisogna accettare che pubblichino ciò che vogliono, ma il problema risiede proprio in quel senso di dovere. In un’Italia dove circa il 15,6% della popolazione risulta essere negazionista nei confronti della Shoah, dove gli smartphone collegano il mondo in un istante, il senso del dovere dovrebbe spingere queste persone a diffondere i veri valori della nostra società: la storia, per ricordare da dove veniamo, e la memoria, per permettere che tali eventi non accadano mai più.
Una missione estremamente importante, perché il pubblico a cui si rivolgono è composto da molti, moltissimi giovani in fase adolescenziale, che se presi in tempo possono essere ancora salvati dal buio dell’indifferenza.
L’Unione Giovani Ebrei d’Italia (UGEI) è un’organizzazione ebraica italiana. Essa rappresenta tutti gli ebrei italiani di età compresa tra i 18 e i 35 anni. L’organo ufficiale di stampa UGEI è HaTikwa: un giornale aperto al confronto di idee.