Il Black Wednesday della Democrazia USA

di Luca Spizzichino e David Fiorentini
Pensavamo che il 2021 stesse prendendo una bella svolta: le prime vaccinazioni, gli accordi di pace… ed ecco qua la sorpresa: la più grande democrazia dell’Occidente, il paese da sempre faro delle libertà, sta vivendo le sue ore più buie.
Che il processo di polarizzazione di entrambe le fazioni precedente all’insediamento di Trump nel 2016, è indubbio. Allo stesso tempo, è palese come il presidente uscente non solo abbia giovato da questo clima nella precedente campagna, ma che a un certo punto sia arrivato ad alimentarlo, facendo arrivare la società americana ad una profonda crisi.
Il quadriennio è cominciato all’insegna della presunta interferenza russa nelle elezioni. Una diatriba legale durata oltre tre anni che, unita ad una campagna mediatica senza precedenti, ha costantemente minato la legittimità della presidenza. Dopodiché, è stata la volta dell’impeachment, fallito anche questo, ma che di certo non ha contribuito alla costituzione di un ambiente di cooperazione bipartisan, proprio agli albori della pandemia.
La tensione ha continuato a salire, fino ad arrivare al clamoroso caos della scorsa estate. Nonostante le raccomandazioni dei medici, centinaia di migliaia di persone, capitanate dai movimenti estremisti Black Lives Matter e Antifa, si sono riversate in piazza per denunciare la causa del razzismo sistemico negli USA. Settimane di violenza inaudita, che ha causato decine di morti, tra cui anche un poliziotto di colore, comandi di polizia messi a ferro e fuoco, e interi quartieri fuori controllo.
D’altro canto, l’atteggiamento ambiguo di Trump ha creato un terreno fertile anche per le frange più estremiste dell’universo conservatore: dai suprematisti bianchi ai neonazisti, passando per i cospirazionisti, e su tutti i sostenitori di QAnon: una complessa narrativa secondo cui il fantomatico Deep State, il vero capo del Congresso, starebbe tentando di abbattere il paladino Donald Trump.
Se fino a poco tempo fa i più fanatici del movimento trumpista erano alimentati da maldestre dichiarazioni, e allo stesso tempo frenati da tempestivi ordini esecutivi, da novembre ad oggi hanno preso una piega quasi paranoica. La difficoltà nell’accettare l’ormai più volte confermata, certificata e contro-certificata sconfitta ai danni del prossimo Presidente degli Stati Uniti d’America Joe Biden li ha portati a crearsi una propria verità, che sta alimentando un fuoco – quello dell’elettorato trumpiano sentitosi derubato delle elezioni – che ormai è diventato nelle ultime ore un vero e proprio incendio.
E non è un caso l’uso del termine incendio. L’ultima volta che venne occupato il Campidoglio fu nell’agosto del 1814, quando gli inglesi bruciarono non solo la sede del Congresso, ma anche l’iconica Casa Bianca. Dopo 207 anni, in maniera più simbolica che guerrigliera, il luogo più emblematico del potere a stelle e strisce è stato violato di nuovo: questa volta dai propri cittadini.
L’atteggiamento assunto da Trump nelle ultime settimane ha dato il via libera alle fazioni più estremiste per interrompere bruscamente un solenne processo, quale è la formalizzazione dell’elezione del presidente entrante, in un atto che senza dubbio passerà alla storia. Sostenitori di QAnon, bandiere confederate, teschi delle SS e altri caratteri neonazisti hanno inondato le aule della più grande democrazia del Mondo, dagli uffici della Pelosi fino alla House Chamber.
Uno spettacolo ripugnante, soprattutto per chi, da conservatore repubblicano, non sognerebbe mai di trasgredire la santità della Costituzione. Le opposizioni e le obiezioni si portano avanti, ma nei limiti delineati dalla legge, seguendo le secolari procedure dei Padri Fondatori. “La violenza non vince mai. La Libertà vince”, ha riaperto la sessione a camere congiunte il Vicepresidente Mike Pence. Così come a luglio le rivolte non erano la risposta, anche oggi la prepotenza non deve prevalere sul diritto americano.
L’amministrazione Trump in questi quattro anni ha vissuto molti alti: un’economia galoppante, l’eliminazione dell’ISIS, l’uccisione di Soleimani, i numerosi accordi di pace e il supporto incondizionato allo Stato d’Israele. Ha avuto però anche numerosi bassi: l’ambiguità nei confronti dei suprematisti, la gestione delle manifestazioni negli Stati Uniti a seguito dell’uccisione di George Floyd, e su tutti una gestione controversa, se non addirittura superficiale, della pandemia, che sta mietendo sempre più vittime.
Ma se fino a poco tempo fa si poteva dare un giudizio sufficiente a questi quattro anni, ciò che è successo ieri a Capitol Hill ha completamente dissolto la sua eredità politica. Trovandosi ormai da solo, in una barca alla deriva, lasciata da molti dei suoi stessi alleati, è inaccettabile che abbia permesso uno dei più grandi scempi della democrazia statunitense. Non è tollerabile il fatto che abbia prima incoraggiato, e poi in qualche modo apprezzato il deprecabile gesto dei suoi sostenitori.
Quello di mercoledì è un giorno cupo, non solo per gli Stati Uniti, ma per tutto il mondo occidentale, che dal ‘900 in poi, nel bene o nel male, vedeva negli USA un modello a cui ispirarsi. E se finora gli States non sapevano quali potessero essere i risultati di un populismo incontrollato, ecco che per la prima volta lo hanno imparato a proprie spese. Ma si sa, la più grande forza degli Stati Uniti d’America è quella di rialzarsi sempre dopo ogni caduta. Sicuramente succederà anche stavolta.

L’Unione Giovani Ebrei d’Italia (UGEI) è un’organizzazione ebraica italiana. Essa rappresenta tutti gli ebrei italiani di età compresa tra i 18 e i 35 anni. L’organo ufficiale di stampa UGEI è HaTikwa: un giornale aperto al confronto di idee.