I Sei Giorni che cambiarono la nostra Storia
Negli ultimi giorni vi abbiamo raccontato attraverso una serie di “bollettini”, in maniera quasi telegrafica, quelli che furono gli avvenimenti principali che segnarono la strabiliante vittoria dello Stato d’Israele durante la Guerra dei Sei Giorni. Un conflitto, che seppur breve, cambiò radicalmente la nostra Storia, e le cui conseguenze condizionano ancora oggi non solo la complessa situazione geopolitica del Medio Oriente, ma anche la nostra vita di ebrei della Diaspora.
Che valore ebbe, ed ha tuttora, ciò che accadde nel periodo che va dal 5 al 10 giugno 1967?
Per capire la grandezza, e l’importanza di questo avvenimento, bisogna prima capire lo stato d’animo della popolazione israeliana e delle comunità ebraiche della Diaspora nei giorni appena precedenti. Per l’ennesima volta, nella lunga e travagliata storia del popolo ebraico, la minaccia dello sterminio e della distruzione era alle porte. Era chiara la volontà dell’Egitto e della Siria di ributtare gli ebrei in mare e lo si capiva benissimo dalle dichiarazioni infuocate del presidente egiziano Gamal Abdel Nasser alla radio panaraba.
Questo terrore in meno di una settimana si era trasformato in incredulità ed euforia. Era accaduto un altro miracolo. E tra il 6 e il 7 giugno avvenne un miracolo nel miracolo: la riunificazione di Gerusalemme. I paracadutisti mandati da Moshe Dayan a Gerusalemme fecero la Storia.
Con la frase “Har HaBayit BeYadeinu” (“Il Monte del Tempio è nelle nostre mani”), detta dal Generale Mordechai ‘Motta’ Gur, si chiudeva un cerchio aperto con la fondazione dello Stato d’Israele nel ‘48. Il popolo ebraico, dopo secoli, aveva di nuovo la possibilità di pregare nel suo luogo più sacro, il Kotel HaMaaravì.
È interessante anche capire ciò che successe nelle comunità ebraiche italiane all’indomani del conflitto. L’entusiasmo di quella vittoria sfociò in un vero proprio risveglio ebraico, il sentimento di appartenenza allo Stato ebraico non era mai stato così forte. C’era ormai la certezza che quella piccola oasi democratica in Medio Oriente sarebbe stata, da quel momento, l’unica polizza sulla vita per gli ebrei della Diaspora, un porto sicuro dove rifugiarsi.
Parallelamente all’enorme gioia però, non bisogna dimenticare che il dramma della guerra ha visto decine di migliaia di morti e feriti da ambo le parti, e le sofferenze della popolazione ebraica nei paesi arabi, costretta a scappare a causa dei pogrom nati a seguito della disfatta della coalizione panaraba, e di chi le terre le abitava e le abita tuttora, israeliani e palestinesi. E proprio quest’ultimi sono stati abbandonati a loro stessi dalla Lega Araba, che si è mostrata indifferente di fronte alla questione dei rifugiati, la cui autodeterminazione nazionale è tuttora un miraggio.
Quali furono le conseguenze di questo conflitto?
Il repentino e travolgente cambiamento che fu la Guerra dei Sei Giorni portò con sé conseguenze che sono ancora oggi tangibili. Il sostegno dell’Unione Sovietica alla coalizione panaraba, nonostante fosse basato su un fondamento ideologico – quello della lotta all’imperialismo statunitense – rese legittimo quell’odio anti-israeliano, che oggi considereremmo antisemita secondo la definizione IHRA, che prima dello scoppio della guerra veniva alimentato dalle radio di stato arabe. Solo per citare alcune dichiarazioni:
- “L’esistenza di Israele è un errore che deve essere corretto. Questa è la nostra occasione per spazzare via l’ignominia che è stata con noi dal 1948. Il nostro obiettivo è chiaro: cancellare Israele dalla carta geografica.” – Aref, Presidente dell’Iraq.
- “Tutto l’Egitto è ora pronto a tuffarsi in una guerra totale che metterà fine a Israele” – Radio Cairo.
- “ […]L’unico metodo che useremo contro Israele sarà una guerra totale che si tradurrà nello sterminio dell’entità sionista” – Radio Cairo.
La presa di posizione del Cremlino ebbe conseguenze nella politica europea, e ovviamente anche in Italia. Proprio nel Bel Paese il sentimento antifascista con il quale era nata la Repubblica aveva fatto sì che parte dell’ebraismo italiano, mosso dalla vicinanza d’ideali con i partigiani, fosse proprio di sinistra. La comunità ebraica, che prima sentiva l’appoggio della sinistra italiana, che in principio era addirittura sionista, tutt’un tratto si sentì tradita. Ma il post-Guerra dei Sei Giorni ebbe conseguenze anche su un altro grande partito, la Democrazia Cristiana. La cui linea anti-israeliana e filo araba sfociò nel Lodo Moro, le cui conseguenze colpirono anche un bimbo ebreo di soli due anni: Stefano Gaj Taché.
Cinquantaquattro anni dopo, nonostante l’odio antisemita si sia evoluto in maniera più subdola, sotto le mentite spoglie dell’antisionismo, effettivamente non si è sviluppato molto nella dialettica, che molto spesso ritorna indietro di mezzo secolo. Per molti è difficile, se non impossibile, accettare l’esistenza dello Stato ebraico.
D’altro canto Israele, con i suoi pregi e difetti, fa del pluralismo che lo contraddistingue il suo più grande punto di forza. Un paese che non smette mai di stupire, capace di difendersi da ogni minaccia e di eccellere in tantissimi ambiti: dalla tecnologia alla cultura, fino a passare all’intrattenimento e all’economia. Un paese che, seppur giovane, cerca sempre di imparare da quanto accaduto in passato, anche sbagliando a volte, come qualunque altra nazione. E parallelamente ad Israele, qui nella Diaspora noi continuiamo ad imparare dal nostro passato, con l’obiettivo di crescere e migliorare il nostro futuro, coltivando una giovane leadership ebraica capace di fare grandi cose.
Nato a Roma. Giornalista pubblicista. Collaboratore per Shalom.it e responsabile della comunicazione sui social network per l’Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma. Consigliere con la delega a Roma e Tesoriere nel Consiglio Esecutivo 2018, Revisore dei Conti nel 2019 e per il 2023.
Caporedattore nel 2020, è stato Direttore Editoriale di HaTikwa fino a dicembre 2023. Membro del Consiglio Esecutivo 2024-2025, ricopre il ruolo di Presidente, con delega ai Rapporti Istituzionali e Roma.