I giovani ebrei contro l’antisemitismo dell’URSS. Fra anni Settanta e l’emendamento Jackson-Vanik

Hatikwa

di David Di Segni

Chiunque condanni il razzismo e la oppressione, ovunque essi siano predicati e praticati, deve associarsi alla nostra protesta per le condizioni in cui gli Ebrei sovietici sono costretti a vivere”. Con queste parole della Federazione Giovanile Ebraica Italiana, antenata dell’attuale UGEI, si apriva il mensile di HaTikwa dell’aprile 1970. Un ritaglio in prima pagina, dal titolo “Libertà per gli ebrei dell’URSS”, interamente dedicato al j’accuse contro il governo sovietico, all’epoca presieduto da Breznev, per le sue violazioni dei diritti umani e specie per quelle contro gli ebrei che protestavano “per il grave stato di oppressione” e inviavano perfino “lettere aperte alle massime autorità dell’URSS e dell’ONU: stanchi di essere considerati cittadini di seconda classe, chiedono di lasciare l’Unione Sovietica e di raggiungere Israele”. L’Unione Sovietica era stata fra i primi paesi a riconoscere lo Stato di Israele, nel 1948, con la convinzione strategica che un paese ideologicamente socialista e fondato da immigrati ebrei dell’est potesse rappresentare un alleato strategico nel Medio Oriente. Quando questo non accadde, però, cioè quando Israele integrò il socialismo dei kibbutzim al capitalismo, che la rese una potenza economica, i rapporti fra le parti si allentarono fino a scindersi nella logica della Guerra Fredda: Israele alleato degli Stati Uniti e l’URSS degli Stati arabi, in particolare dell’Egitto di Nasser. In maniera riflessa, la torsione dei rapporti ricadde verso le comunità ebraiche, che vissero l’incremento di antisemitismo scatenarsi sulla propria pelle, davanti alla passività del governo sovietico che ostacolò inoltre la loro migrazione verso Israele. “Noi denunciamo la limitazione ella libertà religiosa e culturale imposta agi Ebrei in URSS. Chiediamo che il governo conceda il permesso di espatrio a coloro che ne fanno domanda”. La limitazione dell’espatrio ebbe una risonanza internazionale. Nel 1974, il Congresso degli Stati Uniti introdusse il cosiddetto Emendamento Jackson-Vanik (dagli omonimi senatori che lo proposero) come parte del Trade Act (legge di commercio), atto a vietare la concessione di trattamenti commerciali preferenziali a paesi dell’area sovietica che non avessero permesso la libera emigrazione dei loro cittadini, e nello specifico degli ebrei verso Israele. Mosca lo considerò una palese ingerenza nei propri affari interni e revocò di conseguenza l’accordo commerciale bilaterale firmato nel 1972. L’emendamento venne abrogato nel 2012, per permettere alla Russia di aderire al WTO. Con estrema lungimiranza e in anticipo rispetto quel provvedimento, i giovani ebrei italiani seppero cogliere le difficoltà dei propri correligionari sovietici, non esitando un istante a dare la voce che mancava loro. “Non vogliamo dare luogo ad una crociata anticomunista; chiediamo che i governi, le organizzazioni internazionali, gli uomini amanti della libertà, facciano sentire la loro voce. Tacere significa essere complici. Ci rivolgiamo all’opinione pubblica affinché non permetta l’annientamento sociale delle comunità ebraiche in URSS”.


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