Gruppo Taglit: un viaggio alla scoperta di Israele
di Daniele Steinhaus
Pochi giorni fa si è concluso il nuovo viaggio in Israele del Taglit Italia, un’organizzazione che si propone di permettere a giovani ebrei, provenienti dalle piccole e grandi comunità italiane di visitare lo Stato d’Israele, apprezzandone le bellezze e le peculiarità. Un’iniziativa ancora più importante dopo il pogrom del 7 ottobre, quando Israele ha nuovamente dovuto lottare per la propria sopravvivenza. Per noi ebrei italiani non è facile dirigersi verso uno Stato in guerra, in cui la vita prosegue apparentemente normale nonostante i missili lanciati contro i civili. Ma forse proprio per questo il viaggio è stato così emozionante: ha permesso ai giovani di toccare con mano la realtà israeliana in un momento così delicato. Diciannove giovani, dieci giorni per visitare Israele, in sicurezza, da nord a sud, sotto la guida eccellente di Naamá Campagnano, Giorgio Tognotti e Simone Israel. Un viaggio alla scoperta dell’ebraismo antico e moderno. Nel kibbutz a sud del Lago di Tiberiade, dove abbiamo passato i primi tre giorni, abbiamo potuto ammirare il bellissimo parco di Tzipori, dove è deceduto il celebre Rabbi Yehuda Ha-Nassí, compositore della Mishnà. Girando tra i vari luoghi, la ricchezza più grande è stata quella di poter conoscere le numerose religioni e culture che convivono in pace e libertà in Israele, tra cui il popolo druso e i Bahai. «Hanno condiviso con noi la loro cultura, le loro tradizioni e il loro buonissimo cibo. Non si parla spesso di queste piccole realtà e della solidarietà che c’è tra le varie comunità in Israele», spiega Flaminia, membro del gruppo Taglit. Condivide la stessa impressione Nathan, che in Israele ha trovato «un Paese dinamico, dove le persone hanno la possibilità di sentirsi ebrei liberamente, un paese pieno di storia, religioni e culture diverse che convivono in serenità». Non è stato però un viaggio esclusivamente turistico: il nostro ruolo è stato anche attivo. Quando siamo arrivati al Nord, abbiamo prestato le nostre mani agli agricoltori, aiutando nella raccolta dei mango. Con questo spirito, quello di voler lasciare un nostro segno, il nostro cammino è finalmente giunto a Gerusalemme, la magnifica città millenaria: la Città Vecchia, Yir David e il Kotel, luoghi incredibili e un’esperienza commovente per tutti, soprattutto per chi ne ha ammirato la grandezza per la prima volta. Dopo avervi soggiornato per lo Shabbat, in un momento di grande trasporto emotivo, ci siamo recati sul Monte Herzl, per commemorare tutti coloro che hanno dato la loro vita per la protezione e la sopravvivenza dello Stato di Israele. Gerusalemme è stata poi lo slancio per la visita al Mar Morto, Masada, fino a luoghi più recenti e infinitamente dolorosi come il Nova, il luogo in cui si è consumato il massacro da parte dei terroristi di Hamas contro giovani in festa. Israele è molto cambiata dal 7 ottobre: pochi turisti, mentre in hotel e kibbutz si incontrano le famiglie fuggite dal Nord a causa degli attacchi di Hezbollah. Si percepisce nell’aria un senso di irrequietezza, in attesa di qualche minaccia esterna. Lo stesso senso che abbiamo percepito visitando il sito del Festiva Nova, quando improvvisamente abbiamo dovuto trovare rifugio in un bunker. Lo stesso utilizzato dai giovani, quel fatidico giorno, per cercare di mettersi in salvo dai terroristi. Pochi secondi di paura ci hanno raccontato un dramma che le parole non possono spiegare, ma che fanno comprendere il valore che la vita assume in questo luogo. «Gli israeliani si godono le piccole cose perché sanno che da un momento all’altro potrebbero non esserci più. Il valore che viene dato alle più piccole esperienze è immenso e incommensurabile. Mi ha colpito sapere che, mentre la mia giornata inizia con il suono della sveglia, la loro inizia con l’allarme di una sirena» raccontano Carlotta ed Elisabetta. «Durante la visita al Monte Herzl, ho notato la tomba di un soldato di 17 anni e ho pensato alle diverse priorità nella vita. La sua era quella di voler proteggere a costo della vita il proprio paese. E la nostra? Quella di noi europei? Probabilmente, a partire da oggi, la mia priorità sarà salvaguardare quanto più possibile la mia identità, nel rispetto di chi perde la vita anche per me». Nonostante le difficoltà, Israele resta forte e, aggiunge Sheryl, la «senti un po’ come la seconda casa. Che ti accoglie, ti abbraccia e ti protegge». Tutte queste esperienze, positive e negative, hanno contribuito a creare un solido rapporto tra noi e Israele, l’unica terra in cui possiamo, da ebrei, sentirci veramente a casa.
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