18 Ottobre 20197min

“Gioirete davanti al Signore sette giorni”

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HaTikwa – Il popolo ebraico nel percorso del primo mese dell’anno attraversa tre momenti fondamentali di incontro: a Capodanno celebriamo la Creazione divina dell’universo. Nel giorno del Kippur, dell’Espiazione, o meglio della cancellazione delle colpe, l’ebreo recupera la dimensione interiore della coscienza riconciliandosi con se stesso, con la comunità e con il mondo.
A Succot, la festa delle Capanne, fissata dal Levitico cinque giorni dopo il Kippur, si esce dalla propria casa, o meglio, dal proprio ego, per gioire all’ombra della divina presenza in una fragile capanna.
Se a Capodanno ascoltiamo il suono dello Shofar con la nostra coscienza e la nostra mente, se a Kippur digiuniamo per elevare al Signore i nostri sentimenti di riconciliazione, arriviamo a Succot pronti a gioire ed eseguire il precetto della capanna con tutto il nostro corpo, consumando quattordici pasti all’ombra della protezione divina.
Appena finito il digiuno passiamo da un precetto all’altro per costruire la capanna, legando così la gioia del Perdono a quella della libertà dal bisogno.
Nel ciclo agricolo l’autunno è la festa del raccolto, motivo della gioia del nostro risultato, ma anche pericolosa occasione per insuperbirsi e rinchiudersi nel proprio ambito dimenticando la collettività.

Vediamo insieme i particolari di una capanna che rappresenta nei suoi dettagli l’Arca santa, per trasmettere all’uomo la sensazione che possiamo servirci della Natura solo per stabilire un equilibrio tra Sole ed ombra. Il tetto deve essere costruito esclusivamente con vegetali staccati dal terreno per dimostrare la sua temporaneità.
Inoltre il tetto deve essere abbastanza folto da realizzare un’ombra maggiore della parte assolata, ma nello stesso tempo occorre che lasci vedere le stelle.
L’uomo spesso rischia una sovraesposizione mediatica che gli fa dimenticare la capacità di cercare se stesso: l’ombra invece rappresenta un momento di ripiegamento, di riflessione, dal quale poi ripartire per alzare gli occhi al Cielo, cercare le stelle che indicano in alto la strada da seguire.
“Abiterete nelle capanne sette giorni perché ho fatto abitare nelle capanne i figli di Israele quando gli ho fatti uscire dalla terra d’Egitto”.

I Maestri affermano che la festa delle Capanne e’ stata fissata in autunno e non in primavera in prossimità della Pasqua per  ricordarci che non costruiamo la capanna per godere l’ombra delle sue frasche per il nostro piacere, ma al contrario delle abitudini degli altri popoli, la costruiamo in autunno  dimostrando la volontà di eseguire un precetto divino.
La capanna è un simbolo di sicurezza nella protezione divina, paradossalmente proprio attraverso la sua fragilità.
Il libro biblico dell’Ecclesiaste accompagna la festa di Sukkot per ricordare come ogni elemento della natura umana sia temporaneo e destinato a lasciar posto ad altri con il volgere dei tempi.
Nello stesso modo l’Ecclesiaste conclude positivamente la riflessione pessimistica offrendo una via di uscita nell’adesione al precetto
L’ospitalità è un sentimento ed un valore talmente radicato nel popolo ebraico da immaginare di avere ospiti fissi, uno per ciascuno giorno di festa da Abramo a David. Il ruolo di queste sette guide fedeli corrisponde ciascuno a qualità umane e sfere mistiche alle quali ispirare il comportamento individuale e collettivo .
A Succot non solo il passato è il protagonista della festa, ma il simbolismo della capanna deve sollecitare l’uomo, e non solo l’ebreo, a volgere il pensiero, anzi ad identificarsi completamente per sette giorni con chi vive tutto l’anno senza la stabilita’ di una casa o di un lavoro.
In questi giorni difficili per l’Europa, offrire una riflessione, anzi una testimonianza di sapersi confrontare sul tema dell’accoglienza e dell’ospitalità costituisce un prezioso spunto di confronto e di dialogo. La dimensione universale viene evidenziata dal numero delle offerte corrispondente ai settanta popoli della terra per chiedere l’abbondanza derivata dalle piogge.
I temi recenti dell’Expo con molteplici proposte per nutrire il pianeta sembrano essere riassunte nella liturgia ebraica che benedice il Signore che fa soffiare il vento e fa scendere la pioggia come segno della Sua speciale benedizione per il genere umano e per la Terra di Israele.
Un altro precetto specifico di Succot è quello del Lulav: “prenderete per voi rami di palma, un frutto di bell’aspetto, rami di mirto e di salice”.
Leggendo l’Hallel, i Salmi di lode, con in mano questo mazzo di vegetali, chiediamo al Signore di ascoltare le nostre suppliche ed inviare le giuste piogge per far crescere piante e frutta.
Ancora il ciclo della natura con il numero sette come i sette elementi del Lulav necessita di un intervento dell’uomo per elevarlo al sovrannaturale.
Ogni punto cardinale viene benedetto dal movimento dell’uomo che intende abbracciare la realtà attraverso il precetto, sacralizzando lo spazio con un gesto umano per volgere a sé la volontà divina.
Con la festa di Succot incontriamo nello stesso tempo Natura e collettività per proiettarci con l’unità del genere umano verso i giorni nei quali sapremo convivere in unica capanna nella quale sviluppare il benessere materiale nella gioia di un anno pieno di benedizioni.
Rav Dr. Umberto Piperno


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