Gay Pride, grande festa per i diritti: non chiediamo tolleranza, ma riconoscimento della differenza

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A conclusione delle settimane segnate da Gay Pride in tutto il mondo, da Tel Aviv a New York, da Milano a Torino, pubblichiamo le impressioni di Clara D’ottavi, Marta Spizzichino e Giulio Piperno, che hanno preso parte al Gay Pride che si è tenuto a Roma.

Clara D’ottavi – Le persone oggi si rendono conto che essere apertamente omofobe è vergognoso e di denigrazioni dirette senza (seppur falsa) diplomazia se ne sentono poche (generalmente). Il volto che prende oggi l’omofobia è più insidioso e subdolo, si nasconde dietro opinioni apparentemente scherzose e innocenti.  Le persone si reputano altresì buone nel “tollerare” le diversità invece di accoglierle come sfumature del normale. Il giorno in cui tutti capiremo che non c’è nulla da tollerare sarà il giorno in cui potremmo davvero dire “RIP omofobia” (come leggeva uno slogan al Pride). Ai commenti “tolleranti” in stile “a me stanno pure simpatici ma quelli esagerati non mi piacciono, perché ostentare?” Il Pride risponde in tutta la sua gloria, esagerato e sfarzoso per poter gridare:  “Noi esistiamo eccome, provate ancora a negarlo!”.

Marta Spizzichino – Il Gay Pride è tanto in tutti i sensi: vi è tanta musica, tanti colori e tante persone, e ben venga che sia così. E’ tanta la strada che si fa per arrivare a Piazza Venezia partendo da Piazza della Repubblica a Roma; e tanta è stata la strada percorsa da coloro che per i diritti hanno lottato. Se di esagerazione e irriverenza vogliamo parlare facciamolo pure, non a tutti piacciono travestimenti e paillette, me compresa. Ciò nonostante difenderei chi li indossa: in loro vorrei vedere molto di me in quanto a coraggio e impertinenza. Forse li difenderei anche se non vi trovassi nulla di tutto ciò, mi piacerebbe pensare che sia stata l’umanità a parlare, perché alla fine non è vero che non ha più nulla da dire.

Giulio Piperno – Ogni volta che vado al Gay Pride mi chiedo se quella a cui sto assistendo sia una manifestazione politica o un inno alla vita. La risposta è che probabilmente è entrambe le cose. Quell’euforia, quell’entusiasmo verso l’amore, quel sentirsi liberi di essere ciò che si vuole essere che si respira per la strada. Ricorda un po’ il carnevale, con le maschere i balli e la musica; ma non bisogna venir tratti in inganno da questa analogia. Il carnevale è sempre stato il giorno del caos, di inversione delle regole, di follia. Quello che si reclama invece non è folle, e vorrebbe essere “la regola”. Ho visto gente tenersi la mano anche se normalmente la mano non se la tiene, ho visto gente mostrare sorrisi e una voglia di esistere troppo spesso nascosta. Non deve essere un semplice scherzo, un giorno di festa diluito in un anno di indifferenza. Molto si è ottenuto nel nostro paese negli ultimi anni, a livello legale e a livello morale, ma ancora si sente parlare dei diritti degli omosessuali come “concessioni”. Una differenza che può sembrare un’inezia di forma, ma nasconde in realtà una profonda divergenza concettuale. Immedesimarsi non è facile. Quanti di fronte a dilemmi quali l’adozione si chiedono che cosa voglia dire non poter avere un bambino con la persona amata? Quanti si chiedono come sarebbe la loro vita senza la possibilità di mettere su una famiglia? Troppo spesso si ha una prospettiva di superficie, congelata nella propria chiusura cognitiva. Le lotte di ieri hanno liberato la donna da secoli di subordinazione, e molte possono fare le lotte di oggi. L’importante è tenere a mente l’idea che c’è dietro: un umano bisogno di uguaglianza.


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