F-35: i lampi del Medio Oriente

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di David Fiorentini

 

Sono ormai passati alla storia gli Accordi di Abramo, un patto senza precedenti tra Israele e ben due paesi arabi per la normalizzazione dei rapporti diplomatici. Finalmente, dopo oltre 24 anni, il processo di pace nel Medio Oriente si è rimesso in moto, con avvincenti novità che non sembrano ancora finite. D’altro canto, è salita alla ribalta la notizia di un presunto accordo segreto tra USA e UAE per la vendita di armamenti avanzati, tra cui i sofisticati caccia F-35. Le voci hanno suscitato grande scalpore, in particolare in Israele, dove si paventa la fine della supremazia militare dello Stato Ebraico sui vicini arabi.

Prima di entrare nel merito del concordato, occorre fare una breve panoramica sull’aereo in questione, l’F-35 Lightning II: prodotto dalla ditta a stelle e strisce Lockheed Martin, la sua tecnologia supera di gran lunga i precedenti modelli, sia in termini di copertura Stealth che di manovrabilità e raggio d’azione. Il primo utilizzo in combattimento risale al 2018, da parte delle Forze di Difesa Israeliane, le quali ne sfoggiano una versione unica e inarrivabile: l’F-35I detto Adir, cioè Il Magnifico.

A differenza degli altri eserciti del mondo, che possono acquistare solamente la versione base A o B, Israele aggiunge al tavolo la sua avanzatissima elettronica, prima per efficienza dei sensori e dei missili del velivolo. Le altre versioni, in dotazione agli altri eserciti alleati degli USA (tra cui Italia, Corea del Sud, Regno Unito e Giappone), hanno velocità e capacità decisamente più ridotte, oltre che sostanziali differenze nella modalità di decollo e rifornimento. Un’altra fondamentale novità della quinta generazione di caccia israeliani è il raggio d’azione, che raggiunge i 2200 km. Teheran, per capirci, ne dista 1900.

Nel Medio Oriente, però, gli F-35 non risiedono solamente in Israele; in realtà sono già presenti anche negli Emirati Arabi Uniti. Una notizia sconvolgente, se non fosse che sono semplicemente parte della 380° Expeditionary Wing (unità speciale dell’aviazione) degli USA, di stanza nella base emiratina di Al Dhafra. Evidentemente, affascinati in prima persona dalla maestosità del velivolo, gli emirati hanno cominciato a bramarlo per sé. Un desiderio legittimo visto che, come ha affermato Trump tempo fa, “hanno i soldi per comprarlo”. Da esaminare, invece, è il significato geopolitico di tale mossa.

In primo luogo, la transazione potrebbe mettere a rischio la supremazia militare israeliana nel Medio Oriente, la quale non è soltanto una vaga linea guida, ma una chiara politica statunitense che vieta la vendita di armamenti eccessivamente avanzati ad altri paesi della regione. L’acquisto di F-35 potrebbe creare un pericoloso precedente per altri paesi arabi, che farebbe traballare la solidità della policy americana. Inoltre, è da valutare l’uso che ne faranno gli UAE: da un lato, garantirebbero un enorme vantaggio nei confronti dell’aeronautica iraniana, ancora ferma ad armamenti novecenteschi. Dall’altro, come ha sottolineato Amos Gilead, Direttore dell’Institute for Policy and Strategy presso l’Herzliya Interdisciplinary Center, gli equilibri mediorientali sono estremamente precari. Basti pensare che lo stesso Iran, prima che Khomeini andasse al potere nel ’79, era un alleato di Israele.

Nonostante le numerose diffidenze, da un punto strettamente tecnico, la vendita dei caccia di sicuro non sarebbe una tragedia per l’IDF. In primis, per la mancanza della componente aggiuntiva sviluppata interamente in Israele. Il secondo motivo è l’assenza dell’esperto capitale umano devoluto alla guida dei costosissimi velivoli. Ancor più importanti sono i tempi della consegna, che pare avverrà solamente tra almeno sette anni.

Secondo l’Ambasciatore americano a Gerusalemme, David Friedman, i tempi sarebbero così lunghi che gli allarmismi attuali sono abbastanza fuori luogo. In sette anni può succedere di tutto, gli USA saranno sempre in tempo ad annullare il contratto nel caso di una sostanziale divergenza geopolitica, come hanno fatto lo scorso gennaio nel caso della Turchia ad esempio. Le precedenti amministrazioni avevano approvato la vendita all’alleato NATO, ma a seguito di un eccessivo avvicinamento alla sfera russa, sancito con l’acquisto di batterie antiaeree S-400, l’amministrazione Trump ha deciso di impedire ad Ankara di ottenere l’ambito aereo.

Ma ancora più importante è capire cosa può fare Israele nel frattempo. Per prevenire la vendita, esisterebbe una commissione israelo-americana composta da alti ufficiali ed esperti, adibita alla valutazione della vendita di armamenti ad altri Paesi, che avrebbe la possibilità di bocciare lo svolgimento delle trattative. Mentre, nel caso del raggiungimento di un accordo, è da comprendere se e come Israele possa espandere e migliorare il proprio arsenale bellico affinché, per quando gli F-35 saranno consegnati agli UAE, questi magari saranno già obsoleti.

La questione rimane decisamente spinosa, soprattutto rispetto a quanto abbia influito sugli Accordi di Abramo. Tuttavia, al momento la trattativa non è in cima alle priorità dell’amministrazione americana, impegnata intensamente in campagna elettorale, ma senza dubbio sarà un tema da affrontare seriamente per chiunque sarà il presidente.


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