Eurovision Song Contest: Israele, “troppo politico” o non conveniente?

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di Michal Colafranceschi e Ginevra Di Porto

L’Eurovision Song Contest è l’evento musicale più seguito al mondo, ricco di diversità culturale, linguistica e musicale. Ogni partecipante porta con sé non solo una canzone, ma anche parte della propria identità nazionale. Nel 2023 ha registrato ben 162 milioni di telespettatori in circa trentaquattro e più Paesi. Quest’anno tocca alla città di Malmo, in Svezia, ospitare la gara. E non sono affatto mancate le polemiche. Lo scorso gennaio, lo European Broadcasting Union (EBU), l’ente che organizza il Festival, ha respinto la richiesta da parte di Islanda e Finlandia di escludere Israele dalla competizione a causa della guerra in corso. Ma non è tutto. Lo stesso EBU avrebbe poi sbarrato la strada alla cantante israeliana in corsa per la gara, Eden Golan, bollando la sua canzone come “troppo politica”. La canzone, dal titolo “October Rain”, fa riferimento agli attacchi di Hamas dello scorso 7 ottobre. Questo non sembra essere gradito dall’ente promotore, che avrebbe dunque richiesto la revisione del testo sulla base del regolamento che vieta ogni dichiarazione politica, pena la squalifica. Ma cos’ha di politico? “Non mi resta aria per respirare. Non c’è più posto. Non c’è un ‘me’ di giorno in giorno. Tutti i bambini sono buoni, uno per uno”.
 Questi sono solo alcuni dei versi contestati. Il giornalista israeliano Eran Swissa ha scritto che questi ultimi versi della canzone, gli unici in ebraico, siano riferiti alla condizione dei civili israeliani durante l’attacco del 7 ottobre, mentre il termine “fiori” – sempre nel testo – alluda invece ai soldati uccisi. Tanto è bastato per attirare dure critiche. Miki Zohar, Ministro della Cultura israeliano, ha definito “scandalosa” la potenziale squalifica di Israele dal Contest, sostenendo che la canzone parli di rigenerazione e rinascita in una situazione fragile di perdite e distruzione, che rispecchi l’attuale sentimento della popolazione israeliana e che quindi non è da definire “una canzone politica”. Isaac Herzog, Presidente dello Stato di Israele, invece, sta spingendo per il dialogo così da riuscire a portare Israele sul palco dell’Eurovision. Secondo quanto comunicato dalla Kan, se “October Rain” venisse squalificata dal concorso, Israele si ritirerebbe definitivamente dall’Eurovision senza ricorrere alla possibilità di sostituirla con un’altra canzone, come previsto dal regolamento. Anche la seconda proposta della cantante, “Dancing Forever”, che fa riferimento al massacro di Hamas durante il Nova Festival ed è arrivata seconda dopo “October Rain” alle selezioni interne in Israele, è stata respinta senza chiare spiegazioni. Israele, come evidenzia il Ministro degli Esteri Israel Katz, “è autorizzato ad utilizzare musica per comunicare ciò che ha passato”. La politica è “lo studio sistematico del potere e delle sue configurazioni”, tuttavia Eden Golan non tratta il tema del potere e di conseguenza non tratta neanche di politica. In passato, già altre canzoni hanno avuto una chiara connotazione politica, ma senza incorrere in problemi. Perchè solo ora, su un testo che non parla di politica, nasce la polemica? La musica ha il potere di unire popoli e culture, valicando così ogni tipo di confine geografico e non solo. Cantare di emozioni che hanno segnato e segnano tuttora i cuori della popolazione israeliana, parlando dell’attacco che ha strappato molteplici giovani vite, non è un modo per parlare di politica, bensì di comunicare attraverso la musica, che è uno dei mezzi di comunicazione che caratterizzano maggiormente la storia umana, i sentimenti e il dolore di un popolo.


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