Esopo, il pastore ed il lupo. La risposta a Pierre Lurçat
HaTikwa (F.Tedeschi) – Il tono della voce è molto importante, serve a tante cose diverse: a farsi sentire da chi è lontano, ad enfatizzare determinate proposizioni, serve a mantenere segrete certe verità. Sempre più spesso mi pare di notare che nell’ambiente ebraico italiano non si riesca mai a trovare la giusta tonalità. C’è chi parla sempre troppo piano, quasi si nasconde, e c’è chi urla sempre e per qualsiasi cosa, anche la più insignificante. Il rischio, in entrambi i casi, è evidente: o si lasciano passare in sordina eventi di grande pericolosità, oppure, a suon di gridare “al lupo al lupo”, poi più nessuno è pronto ad aiutarci quando qualcuno ci vuol fare del male. Sì, dobbiamo essere onesti, c’è qualcuno che vuol ancora farci del male e sì, incredibile a dirsi, ma c’è ancora qualcuno disposto ad aiutarci quando ne abbiamo bisogno. Il problema è che nell’ultimo secolo abbiamo iniziato a etichettare troppo facilmente i nostri “nemici”. Mio nonno Vittorio Z”L ad esempio, anche dopo la guerra si rifiutò per tutta la vita di entrare in Germania. Proprio non ci riusciva, anche se era evidente che non tutti i tedeschi fossero nazisti ed antisemiti convinti. C’è chi tra di noi oggi vede negli estremismi politici nostrani il vero nemico, ma casualmente lo vede quasi sempre, chi uno, chi l’altro, da una parte sola: “fascisti qui, fascisti lì” a cui di solito si risponde “ed i vostri amici comunisti che invece ci venderebbero agli arabi”. È inevitabile che del vero ci sia in tutti e che una certa sinistra ed una certa destra finiscano con l’essere incompatibili con il nostro essere ebrei e che ci diventino avversari naturali anche se per motivi diversi.
Leggendo l’intervista rilasciata a Pierre Lurçat ad Hatikwa, mi ha preoccupato in primis il giudizio netto sulla questione delle nuove destre in Europa: un’ambiguità che non ci fa bene. Molti sforzi sono stati fatti dalle istituzioni ebraiche europee negli ultimi anni, ed in questo l’UGEI ha fatto anche la sua piccola parte, per far passare una definizione condivisa di antisemitismo, quella dell’IHRA tanto per intenderci, che comprendesse anche ogni atto di puro antisionismo. Tante, troppe volte, sembra un main stream delle nostre battaglie, ci siamo trovati a difendere l’esistenza dello Stato ebraico da persone che appunto si professavano “antisionisti e non antisemiti”. Ecco, ora stiamo attenti a non cadere nel problema opposto: nel giudicare il valore della proposta politica di un movimento solo dal suo livello di gradimento o meno nei confronti di Israele. Gradimento che per inciso, per quanto riguarda le destre citate da Lurçat, non si deve per nulla alla stima nei confronti del popolo ebraico, ma nella generale ostilità di Israele verso i paesi arabi circostanti. Ecco, gli arabi: l’altro punto caldo dell’articolo in questione era proprio il tema dell’invasione, di questa a quanto pare evidente evoluzione arabizzante della società che ci circonda. Se devo dirla tutta, e come me tante altre persone sicuramente molto più qualificate del sottoscritto, mi trovo in seria difficoltà ad individuare nell’arabo il vero problema dell’ebreo europeo di oggi o addirittura dell’Europa tutta. Il problema non è l’arabo od in generale l’immigrato musulmano, non lo sono nemmeno le sue idee. Uno dei problemi, semmai, potrebbe essere il modo in cui l’Europa, e noi ebrei, ci approcciamo alla questione migratoria attuale. Ed in ogni caso la soluzione ebraica a questo specifico problema, non potrebbe mai essere l’Alyah: una migrazione per risolvere un problema migratorio? Un sentimento molto diffuso tra gli ebrei europei ed in particolare in Italia è quello di voler cercare di restare il più chiusi possibile, confinati all’interno della Comunità stessa senza mai volerne uscire, un microcosmo che in fondo ci piace perché ci fa sentire più al sicuro. Pare quasi che se potessimo riedificare certe mura e chiuderci dentro, ci farebbe quasi piacere.
Israele, se si resta inquadrati in questa logica, può effettivamente risultare una sorta di via di fuga a questa reclusione, allargando la segregazione ad un microcosmo allargato con le sembianze di uno Stato. Ma Israele non deve essere di certo questo. Come possiamo noi ebrei, il popolo errante per definizione, sentirci minacciati da chi è costretto a migrare per qualsivoglia ragione? Giusto qui ricordare e sottoscrivere il comunicato della CER di qualche giorno fa al riguardo. Come possiamo noi accodarci alle prediche di quelli del “o si adeguano alle nostre tradizioni o se ne tornino a casa loro”, ma poi scandalizzarci quando ad un colloquio di lavoro ci sentiamo venire scartati perché a parità di bravura, il privato sceglie il nostro concorrente che è disposto a lavorare di sabato? Eppure la voce l’abbiamo alzata a suo tempo e abbiamo ottenuto l’Intesa e maggiori diritti per gli ebrei in Italia. La principale differenza è che noi ebrei rappresentiamo una minoranza numericamente irrisoria in tutta Europa e quindi maggiormente tollerabile o sopportabile da questi intolleranti. La maggior parte dei pericoli per il popolo ebraico sono sempre iniziati quando chi governa comincia a dire che gli ebrei “sono diventati troppi”. Ma se non impariamo a regolare i toni nelle occorrenze giuste rischiamo di non avere più nessuno disposto ad aiutarci e da soli possiamo fare ben poco.
L’Unione Giovani Ebrei d’Italia (UGEI) è un’organizzazione ebraica italiana. Essa rappresenta tutti gli ebrei italiani di età compresa tra i 18 e i 35 anni. L’organo ufficiale di stampa UGEI è HaTikwa: un giornale aperto al confronto di idee.