Esodi ebraici: dalla Russia zarista verso lo Stato di Israele
di Gabriel Venezia
Shapiro, Fridman, Rabinovich e Goldshtein, sono solo alcuni dei cognomi più comuni tra gli ebrei originari delle zone facenti parte dell’ex Impero russo, che si componeva di numerosi gruppi etnici, linguistici e religiosi fra cui anche gli ebrei, in maggioranza ashkenaziti. Nel 1934, il Segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, Joseph Stalin, optò per la creazione del Birobizdan, una regione “autonoma” ebraica al confine con la Cina che tutt’oggi esiste, con meno di 2500 abitanti, e in cui la seconda lingua più parlata è l’Yiddish. A quando risale la presenza ebraica in Russia? Le prime testimonianze di un focolaio ebraico nella regione risalgono alla Crimea del IV secolo, mentre a Mosca appare a partire dal XV per questioni commerciali. Ma solo dal XVIII secolo, con la creazione dell’Impero russo – comprendente Polonia e Lituania – che si inizia a parlare di “Questione ebraica”. Questa entrò in conflitto col progetto di creazione dell’identità russa, che vedeva in maniera ostile tutti gli elementi non ortodossi o tipicamente russofoni. Facilmente individuabili per i loro costumi, per la lingua Yiddish e per quella volontà di rimanere esterni all’assimilazione, gli ebrei russi divennero ben presto bersaglio dell’ormai conosciuto odio antisemita popolano, talvolta condiviso da alcuni regnanti. Nel 1791, la Zarina Caterina II promulgò l’atto di fondazione della cosiddetta “zona di residenza”, de facto un tentativo di ghettizzazione, in una zona che oggi comprende Ucraina (senza la città di Kiev), Bielorussia, parte delle province baltiche (Estonia esclusa) e “Novorossija” (zona costiera teatro di combattimenti tra Russia e Ucraina). Questa limitazione produsse un effetto inverso e permise la crescita della popolazione ebraica, che attorno al 1860 divenne la quinta etnia più numerose della Russia. Situazione facilitata non solo dalla buona posizione economica di confine, ma anche dalle leggi che nel tempo si ammorbidirono per volontà di regnanti come gli Zar Alessandro I e II, che seppero usufruire della vivacità ebraica. La situazione precipitò in maniera irreversibile nel 1880 con l’assassinio di Alessandro II e la salita al potere di Alessandro III, che “legalizzò” i pogrom e istituì una polizia segreta, detta Ochrana, che fu artefice del falso storico del “Protocollo dei Savi di Sion”. Proprio attraverso quest’ultimo lo Zar alimentò l’idea del “complotto giudaico” per demonizzare gli ebrei, rendendoli una minaccia per l’Impero. Questo provocò degli effetti, come il primo grande esodo ebraico dalla Russia, che va dal 1880 al 1920. Due milioni di ebrei fuggirono dalle proprie case per raggiungere gli Stati Uniti, l’Europa Occidentale e la Palestina ottomana. Sono proprio gli ebrei originari delle zone imperiali russe i principali fautori dello Stato d’Israele. Il fondatore dello Stato ebraico, David Ben Gurion, proveniva da un paesino della Polonia sotto dominio russo; il Primo Ministro Golda Meir nacque a Kiev ed emigrò nel 1903 con la famiglia; il Generale Moshe Dayan e il Primo Ministro Yitzhak Rabin erano figli di emigrati ucraini; il Primo Ministro Shimon Peres era polacco-bielorusso. Gli ebrei che rimasero in Russia abbracciarono in molti casi il socialismo e presero parte attivamente alla Rivoluzione bolscevica del 1917 con la speranza di migliorare la propria situazione in favore di una società laica senza antisemitismo. La fase di stabilizzazione del socialismo sovietico non portò immediatamente agli effetti sperati dalla popolazione ebraica, che si ritrovò comunque soggetta agli attacchi di quelli che erano i rimasugli del vecchio regime. I pogrom furono molti, bestiali violenze di stampo antisemita. Gli ebrei erano chiamati traditori, accusati di aver favorito la sconfitta della Russia nella Prima Guerra mondiale per far vincere il socialismo, di cui Lenin e Trotskji (il primo di origini lontanamente ebraiche, il secondo ebreo di discendenza genitoriale) erano gli emblemi. Il sistema bolscevico si dimostrò più interessato alla “liberazione” dalla coscienza religiosa generale che alla lotta all’antisemitismo e optò per la chiusura, nel 1919, delle sinagoghe e delle comunità ebraiche, proclamando però la libertà dell’individuo e il riconoscimento degli ebrei come popolo. Fu proprio il riconoscimento dello “status” di popolo che ispirò Stalin, aperto oppositore del sionismo, a cercare un’alternativa per evitare le migrazioni di massa verso la Palestina mandataria britannica, trovandola nella creazione della regione ebraica sopracitata. Birobizdan divenne la casa di poco più di 20.000 ebrei russi. Ma con la continua l’avversione di Stalin contro il popolo ebraico, l’Oblast iniziò a perdere di attrattiva, spingendo gli abitanti della regione verso lo Stato di Israele, sancendo l’ennesimo esodo, dall’inizio degli anni Cinquanta fino agli anni Settanta.
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