«Ero certa che non avremmo visto un’altra alba» – Intervista ad Adele Raemer, sopravvissuta del Kibbutz Nirim

ADELE
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di Luca Spizzichino

Lo scorso anno, durante il Jewish Media Summit, HaTikwa ha avuto la possibilità di visitare il Kibbutz Nirim, che si trova a poco più di due chilometri dalla Striscia di Gaza. In quella occasione, abbiamo conosciuto e intervistato Adele Raemer, attivista che da anni, sul profilo instagram “Zioness on The Border” e il gruppo Facebook “Life on the border with Gaza”, racconta la vita delle comunità al confine. In quell’occasione, Adele definì Nirim “per il 95% del tempo, il paradiso”. Ma il 7 ottobre, il suo kibbutz e altre venti cittadine nel Sud d’Israele sono diventate l’inferno. Per capire quanto accaduto quel tragico giorno, HaTikwa l’ha intervistata nuovamente.

Adele, ci puoi raccontare cos’è successo a Nirim quel giorno?

Stavo dormendo quando tutto è iniziato. Quella mattina avevo intenzione di alzarmi presto e andare a scattare delle foto, ma sono stata troppo pigra e ho preferito rimanere a letto. Verso le 06:30 abbiamo iniziato a ricevere una massiccia raffica di razzi, così sono corsa nel rifugio dove c’era anche mio figlio che era venuto a trovarmi. Abbiamo passato diverse ore seduti per terra con la televisione accesa. Arrivavano talmente tanti missili che non abbiamo osato alzarci per diverse ore. Dopo circa venti minuti, attraverso il nostro sistema di messaggistica interna abbiamo saputo dell’infiltrazione di numerosi terroristi nel kibbutz. Poi sono arrivate le prime richieste d’aiuto, in particolare dalle case che si trovano sul lato occidentale del villaggio, vicino la recinzione del confine con Gaza. Avevamo molta paura, non sapevamo come difenderci perché solo il gruppo dei soccorritori era in possesso di armi. Dei sessanta terroristi, il pronto intervento è riuscito a neutralizzarne nove. Sono stati molto coraggiosi. Anche mio genero faceva parte dei soccorritori, ma non è uscito dalla sua abitazione perché a casa c’erano le mie tre piccole nipoti: di due, sei e otto anni. I terroristi sono entrati in casa sua, quindi ha detto alle mie nipoti: “Nascondetevi con una coperta. Ci sarà un rumore forte, ma andrà tutto bene”. Voleva proteggerle e non voleva che vedessero cosa stava per accadere. Così è uscito dalla porta e dalla soglia del rifugio ha sparato al terrorista. Ha cercato di neutralizzare gli altri, ma ha capito che non avrebbe avuto alcuna possibilità contro di loro. Così è rientrato, si è inginocchiato e ha puntato la pistola verso la porta. Per sei ore è rimasto lì ad aspettare che i terroristi arrivassero.

Quanto tempo ha impiegato l’esercito israeliano per arrivare nel tuo kibbutz?

Sette ore. Noi siamo stati salvati dopo quasi undici. Più tardi ho scoperto che i terroristi avevano provato a entrare in casa mia, ma che qualcosa aveva richiamato la loro attenzione mandandoli via. È stata una roulette russa. Non sono mai stata così terrorizzata come quel giorno. Ero certa che non avremmo visto un’altra alba.

Alcuni Kibbutz sono stati completamente distrutti, come quello di Be’eri. Cos’è successo invece a quello Nirim?

Rispetto alle altre comunità, è stata relativamente fortunata. Solamente trentacinque abitazioni, in particolare quelle vicine alla recinzione, sono state distrutte. Il resto è in buone condizioni, anche se non abbiamo un’idea precisa dei danni che ha subito il nostro kibbutz, considerando il continuo lancio di razzi dalla Striscia di Gaza. Cinque persone sono state assassinate e altre cinque sono state rapite dai terroristi di Hamas.

Nei giorni precedenti all’attacco di Hamas, avete notato qualcosa di strano dall’altra parte della recinzione?

Nel mio gruppo Facebook “Life on the border with Gaza”, uno dei membri, a metà settembre, aveva fatto notare che Hamas stesse conducendo particolari esercitazioni nella Striscia di Gaza. Si stavano addestrando a rapire civili in un villaggio, il tutto alla luce del sole. Ancora non riusciamo a capire come sia stato possibile il fallimento dell’intelligence. La nostra storia ci insegna che le festività ebraiche sono sempre il momento ideale per gli attacchi.

Dopo tutto quello che è successo, quali sono le tue speranze per il futuro?

Spero che Israele possa restare unita anche dopo la guerra. Soprattutto spero di poter ritornare a Nirim quando sarà sicuro, anche se sono consapevole che non tutti lo faranno. Trovo difficile credere che mia figlia voglia tornare a viverci. La verità è che, al momento, molti hanno difficoltà a pensare al di là delle prossime ventiquattrore, anche io attualmente non ho piani concreti. Tutti i progetti che avevo in mente sono svaniti nel nulla. Non ho più nulla pianificato, se non alcune interviste. Forse ci saranno altri viaggi negli Stati Uniti o altrove per parlare di questa difficile situazione.


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