“Edith”, al cinema il film sulla ballerina superstite di Auschwitz
Dopo essere stato presentato in anteprima il 23 luglio al Giffoni Film Festival, il film “Edith, una ballerina all’inferno” uscirà nelle sale a partire dal 19 novembre, quando verrà proiettato dopo Shabbat a Gavardo (provincia di Brescia), presso il Teatro Salone Pio XI.
Il film, ibrido tra cinema e danza e prodotto dall’Associazione Culturale Violet Moon, narra la storia di Edith Eva Eger (Viola Turelli), psicologa e ballerina, che venne internata ad Auschwitz assieme alla sorella Magda. Tra numerose difficoltà, le due sorelle riusciranno a sopravvivere agli orrori del campo.
In vista dell’uscita del film, patrocinato anche dall’UGEI, il regista Marco Zuin e lo sceneggiatore Emanuele Turelli hanno gentilmente concesso un’intervista ad HaTikwa.
Come è nata l’idea?
Zuin: L’idea è di Emanuele Turelli. È nata da una suggestione durante il primo lockdown, mentre vedeva sua figlia, aspirante ballerina, fare alcune lezioni di danza in “dad”. Emanuele ha pensato alla passione della figlia, talmente tenace da riuscire a fare danza anche in condizioni molto limitanti. In quel momento si è ricordato di aver letto la storia di Edith nei suoi studi legati al periodo storico della seconda guerra mondiale: in quel caso la storia mortificò arte e esseri umani, ma la passione di quella ragazzina le permise di resistere e sopravvivere. Una storia troppo significativa per non diventare una sceneggiatura e un film.
Turelli: L’idea nasce quando incrocio la storia di Edith Eva Eger, per caso, leggendo il suo romanzo. Ho letto migliaia di libri di sopravvissuti, ma, avendo una figlia ballerina, l’idea di leggere la storia di questa “ballerina di Auschwitz” mi ispirò fin da subito. Ne rimasi folgorato. Non nasce immediatamente l’idea di un film, ma di raccontare una storia straordinaria, nella quale l’arte è assunta a elemento salvifico nel peggiore dei contesti umani. Avevo alle spalle altre storie di successo sulla shoah, capaci di fare oltre 50 mila spettatori live in 10 anni, ma sapevo che quella di Edith rappresentava una “bomba” narrativa. I primi tentativi sono stati su una sceneggiatura teatrale, ma ho virato presto sullo strumento cinematografico perché più adeguato e completo per raccontare una storia così ricca di aneddoti e passaggi emozionali. Ricordo di avere fatto una chiamata all’amico attore Marco Cortesi, e da quei pochi minuti di confronto è nato tutto.
Quanto tempo ha richiesto la produzione?
Zuin: Il periodo di preparazione è stato impegnativo, per riuscire a sviluppare al meglio la sceneggiatura e coordinarsi tra lockdown e limitazioni sanitarie. Le riprese si sono concentrate in 2 settimane a novembre dell’anno scorso. Abbiamo successivamente girato le inquadrature di inizio e fine del film spostandoci, con una troupe ristretta, in Polonia nel campo di concentramento di Birkenau dove Edith era stata deportata. Per creare un collegamento rispettoso tra passato e presente. Per dare valore ai luoghi.
Turelli: La produzione ha assorbito circa 10 mesi di lavoro, compresa la post produzione, ovvero il montaggio e la definizione dei suoni del film. Di fatto è stato il passaggio più entusiasmante, soprattutto la fase di shooting. Abbiamo potuto lavorare serenamente perché i passaggi preproduzione, quali ad esempio la definizione del budget e l’organizzazione logistica dello shooting, sono stati fatti in maniera molto efficace dallo staff di Violet Moon, che ci ha messo sempre nelle migliori condizioni per ottenere un buon prodotto. Così anche per lo shooting in Polonia, davvero tutto liscio per via di una eccellente capacità organizzativa della produzione, soprattutto da parte di Riccardo Viviani, Claudia Ziliani e Luisa Poletti, che hanno pianificato ogni aspetto nel dettaglio.
Come influì nel 2020 il lockdown sulla realizzazione del film?
Zuin: L’idea del film nasce durante il primo lockdown. Poi la fase di scrittura e ricerca fondi ha portato alle riprese a novembre dell’anno scorso quando ancora l’allarme pandemico era alto. Realizzare un film con tutte le restrizioni dovute al covid non è stato facile perché bisognava non solo rispettare le normative ma garantire prima di tutto che non si ammalasse nessuno pur stando a stretto contatto durante le riprese. Ci ha consentito, sembra strano a dirsi, di essere ancora più concentrati sulla storia da raccontare.
Turelli: Influì profondamente, ma non necessariamente solo in male. L’idea era quella di girare il film nella primavera del 2020, cosa che per forza di cose non si poté attuare e questo è l’aspetto negativo. L’aspetto positivo è che ci ha lasciato molto più tempo per elaborare il progetto nei dettagli, elemento che si è rivelato vincente. Abbiamo avuto molto tempo per definire al meglio cosa effettivamente volevamo ottenere e con chi lo avremmo voluto ottenere: la scelta della regia, degli attori, degli interpreti è proprio frutto di quelle settimane di profonda riflessione.
Quanto credete che sia importante oggi tramandare la memoria della Shoah? E cosa possono fare i giovani a tal proposito?
Zuin: Quando Emanuele con Marco e Mara (gli attori narratori del film) mi hanno coinvolto come regista il primo pensiero che ci accomunava era che questa storia era importante da raccontare proprio perché ha come destinatari i più giovani. Ha un linguaggio diverso dal classico film di ricostruzione storica e, cosa non trascurabile, è raccontato da un corpo di ballo fatto di studentesse e studenti che con Edith condividono passione e età. I giovani sono stati coinvolti come interpreti e non solo come futuri spettatori.
Realizzare un film sulla Memoria dell’Olocausto è una sfida davvero delicata, che va affrontata con rigore: ho provato e scelto di raccontare senza spettacolarizzazione con il rispetto che un dramma del genere deve avere. La prima cosa che ho detto a tutti è che non siamo noi i protagonisti, è la storia. Per questo la macchina da presa mantiene una certa distanza da tutti gli interpreti, senza cercare la commozione a tutti i costi.
Turelli: Tramandare la Memoria della Shoah crediamo sia un dovere civile, ma prima ancora umano. Da sempre la nostra associazione costruisce idee, progetti ed eventi per fare quel che chiamiamo #manutenzionedellecoscienze. In quest’ottica la Memoria della Shoah è ciò che ci permette di andare nella profondità della coscienza umana, poiché mai come con la Shoah, il genere umano è giunto a un progetto di deliberata de-umanizzazione di una parte di sé stesso. La Shoah non è per noi l’unico male, ma è l’emblema del male e per questo deve a nostro avviso avere una Memoria perenne.
I giovani possono essere protagonisti di questo processo di bene, proprio ricordando il male di una storia che oggi appare lontana da loro in termini temporali, ma che è vicina a loro in termini umani. Chiediamo ai ragazzi (e lo abbiamo chiesto ai 21 adolescenti coinvolti nella produzione) di non essere spettatori, ma di divenire testimoni e di dare voce, in questo caso con la loro arte, a chi quella voce non ha più o non ha potuto avere.
Si è girato negli stessi spazi usati durante la Repubblica di Salo per firmare l’ordinanza per arrestare i cittadini ebrei. Quanto ritenete importante tramandare la memoria dei crimini nazifascisti?
Zuin: È fondamentale oggi e in futuro tramandare la memoria degli atroci crimini nazifascisti: più passa il tempo e più il rischio è che le nuove generazioni pensino che un orrore simile sia troppo disumano per essere realmente accaduto. Anche a causa di una certa parte politica che tende a voler minimizzare la tragedia bisogna ricordare, per restare umani: e per farlo bisogna crescere umani.
Turelli: Girare a Salò è stata una scelta simbolica ma anche provocatoria. Sappiamo bene il simbolismo di quel teatro e fa rabbrividire pensare che i gerarchi, magari poche ore dopo avere firmato gli ordini di deportazione, si trovavano in spensieratezza ad ascoltare l’operetta di fronte allo stesso palco sul quale abbiamo puntato le nostre macchine da presa. Siamo italiani e abbiamo il dovere di ricordare sempre i crimini nazifascisti, senza rischiare di addossare colpe soltanto ai tedeschi. Salò è il simbolo di tutto questo. Dall’Italia furono deportate dal 1943 al 1945 oltre 42 mila persone, circa 8000 concittadini di origine ebraica. Molte di queste persone persero la vita. È una colpa enorme che ricade sulla coscienza del nostro popolo.
Troppo facile dare colpe solo agli altri. Nessuno guidò la penna di Vittorio Emanuele Terzo nel firmare le leggi razziali del 38, italiani erano gli ideologi del manifesto sulla razza, italiana era il “ministro” della RSI Guido Buffarini Guidi che tolse la cittadinanza agli ebrei, ma italiani erano anche i nostri nonni e bisnonni, che fiancheggiarono il fascismo o ne fecero parte. Non possiamo dimenticare questa “colpa” italiana.
Dopo il Giffoni, la proiezione nelle sale. In generale, quali saranno i prossimi appuntamenti per Edith?
Zuin: La volontà è quella di portare il film a più persone possibili. Cercheremo di dare la maggiore diffusione possibile soprattutto tra i giovani, nelle scuole. Abbiamo voluto raccontare questa storia con un linguaggio fruibile anche da un pubblico di giovanissimi. C’è bisogno di coinvolgerli con un linguaggio che li catturi. La speranza è che qualcosa rimanga in loro dopo la visione, che diventi uno strumento di discussione e riflessione anche sul presente.
Turelli: Giffoni è stata un’esperienza meravigliosa, magnifica. Un qualcosa di unico. Ma è un festival e rimane incorniciato come esperienza. Ora l’obiettivo è una distribuzione su larga scala, così da fare in modo che più persone possibile possano vedere questo film. Crediamo che ogni persona che vedrà il film farà riflessioni positive al suo interno e pensiamo che questo sia il nostro modo per cambiare un po’ in meglio il nostro mondo. Il film vivrà di una distribuzione fatta da eventi di proiezione e poi ambiamo, vista anche la qualità riconosciuta con l’Impact Award di Giffoni, di poterlo mettere a disposizione di tutti coloro che vorranno vederlo su un’importante piattaforma on demand.
Quali sono i vostri progetti futuri?
Zuin: È un periodo in cui mi sto concentrando molto sull’educazione all’immagine e sul proporre alle scuole percorsi e progetti dove il cinema apre finestre sul presente e sul futuro. In attesa di incontrare una nuova storia da raccontare.
Turelli: Il mondo del cinema è qualcosa di magico e quando ci si entra è difficile uscirne, soprattutto se si ha la fortuna, come noi, di entrarci dalla porta principale. Abbiamo un’altra bella storia da raccontare che sarebbe perfetta per un nuovo film. È la storia di un’amicizia fra due atleti olimpici che travalica ideologie e pigmento della pelle. Un’altra storia di attualità. Presto accenderemo le camere su questa. Si chiamerà “amici per la pelle”.
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