Ebraismo è comunità

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Illustrazione di Emanuele Luzzati

Cosa vuol dire essere ebrei? Gli ebrei sono per eccellenza il popolo delle domande, quindi mi sembrava doveroso iniziare con una domanda.
Da sempre io nel mio piccolo ho cercato di indagare e di ritrovare il significato che ha per me questa eredità, conscia del fatto che non avrei mai potuto trovare una risposta definitiva, né per me, né per altri.

Che cosa intendiamo noi con Comunità, che caratteristiche ha questa realtà di cui facciamo parte, o che invece ricerchiamo? Che significato ha conservarci nel corso del tempo? L’unica risposta che mi sono data si chiama ”religione”, ma essa stessa racchiude in sé una domanda. Esiste una sola religione ebraica? Una religiosità condivisa? Oppure una sorta di relazione particolare con l’Eterno, relazione che si può definire ebraica, che fa quindi da collante tra tutti noi? Un tempo la religiosità c’era, ma ora? Ora la si chiama tradizione, la si chiama comunanza, per gli estranei magari tenacia. Ma non necessariamente la risposta é “religione”. Se fosse “nazione”? Certo, sappiamo bene che Israele c’è ed esiste e resiste con la sua vita travagliata, ma anche prima del 1948 l’ebreo è sempre stato ebreo, ebreo nel mondo, nella diaspora, ebreo ricco di relazioni con i popoli più diversi. L’ebreo è ed era solo, non nel senso brutto del termine: era solo davanti al mondo, autonomo, e da questa sua autonomia derivava la sua grande forza.

Martin Buber
Martin Buber

Viaggiando mi è capitato di incontrare le persone più diverse ed eterogenee: ma ecco che l’incontro con un ebreo era speciale, scattava qualcosa, qualcosa di strano, inusuale, come se quello sconosciuto non fosse in realtà così sconosciuto. Chiamiamola comunanza di sangue, di religione, di idee, ma quel qualcosa di (mi piace di più) ”magico”, non l’ho mai davvero capito. Ci sentiamo parte di qualcosa di grande di immenso di invincibile: ma poi dopo i nostri viaggi ritorniamo alla normalità, agli ebrei che conosciamo, alla nostra grande o piccola Comunità, e ci dimentichiamo tutto. Di quanto sia forte un popolo che tra mille diversità è comunque unico. Forse sbagliamo a monte, vedendo la Comunità sempre e solo come un ente, e non come ciò che realmente è: collettività. Forse dovremmo cambiare la nostra visione dell’ebraismo, inteso non come religione né come nazione, ma come tutto il resto, come collante in una collettività: non solo come passato (o passati), ma come avvenire, futuro. Dovremmo essere, come diceva Buber, illimitati nel tempo. E forse così riusciremo a dare delle parziali risposte ai nostri interrogativi; sempre finché non ci verrà in mente un’altra domanda.

Carlotta Micaela Jarach, milanese. Studia in Svizzera
Carlotta Micaela Jarach, milanese. Studia in Svizzera


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