È tornata la Diplomazia del dollaro

trump

di David Di Segni

“Durante la guerra tutti hanno problemi, anche voi. Ma avete un bell’oceano e non ve ne accorgete ora, ma ve ne accorgerete in futuro”. Sono bastate queste parole di Zelensky per far scoppiare la rissa diplomatica a Washington. Dire in diretta TV, a un presidente che ha costruito la propria immagine su una dialettica narcisista, che il suo paese avrà dei problemi, è il miglior modo per far saltare il tavolo delle trattative. Può averlo fatto per errore oppure intenzionalmente per non dover accettare un accordo sconveniente e senza garanzie di difesa per il futuro. Spesso in politica, quando si è in svantaggio, la cosa migliore da fare è mischiare il mazzo nella speranza che esca una carta migliore. Di certo, per quell’Europa che ha sempre creduto, specie per necessità, nell’eccezionalismo degli Stati Uniti come faro del mondo libero, quanto accaduto ieri nello Studio Ovale colpisce. In primis l’Ucraina, che rischia di perdere il provider di armi più grande. Poi l’UE, che finora ha delegato difesa e sicurezza agli americani e che ora si trova impreparata a difendere attivamente il proprio cortile di casa. Infine tutti noi. Non per il contenuto del discorso, che appartiene alla tipica realpolitik, ma per la modalità con cui è stato discusso. In diretta mondiale, con dita alzate e toni prima irrisori e poi accusatori verso un presidente in guerra. A metà di un’estorsione: firma o ce ne andiamo e la guerra finisce, perché senza i soldi americani non c’è conflitto destinato a durare. Una coercizione economica che rispolvera la dottrina taftiana della Diplomazia del dollaro atta a “sostituire i proiettili con i dollari”. Ma è la dura verità, senza gli USA non si fa la guerra. Lo sa Trump, lo sa Zelensky e lo sanno i leader europei che questa settimana hanno sfilato alla Casa Bianca per chiedere a Washington di non disertare la battaglia, palesando l’inferiorità di una Unione poco unita e incapace di difendere il proprio continente. Gli americani hanno altre priorità, fra tutte la Cina. Se Nixon si aprì a Pechino con la visione strategica di separarla da Mosca, oggi Trump si avvicina a Putin per tentare di sganciarlo da Xi Jinping. In questo triangolo, per Trump, l’Ucraina è l’ostacolo. Questo spiega perché non ha mai riservato toni duri contro Putin, viceversa contro Zelensky; perché vuole concludere questa guerra anche al costo di rinunciare a una pace giusta: perché ogni guerra cessa, quando smette d’essere interessante. Gli USA continueranno a essere il partner di questo continente. Per idealismo, perché le amministrazioni passano ma l’America resta. Per realismo, perché senza le loro armi l’Europa è vulnerabile. Intanto, Mosca esulta. Dopo la Conferenza di Teheran del 1943, Churchill disse di trovarsi “al fianco dell’orso russo e del grande bufalo americano” e di essere “il povero asinello inglese che sapeva la strada per tornare a casa”. L’Europa conosce la strada di casa?


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