“E scenderò per aiutarli”. Nella Torah, la liberazione degli ostaggi Emily, Romi e Doron

di Michal Colafranceschi
Fra i versi della Parashà di Shemot che abbiamo letto lo scorso Shabbat, dove si racconta della schiavitù del popolo ebraico in Egitto, uno in particolare desta la nostra attenzione. Quando il Signore dice a Mosè: “Ho sentito le loro grida e scenderò per aiutarli”, riferendosi alla disperazione degli ebrei soggiogati alle angherie del Farone. “Scenderò”, in ebraico “ארד” (Arad). Tre lettere semplici: Alef, Resh e Dalet. Eppure, in quelle lettere c’è tutto. C’è la promessa di dell’Eterno e l’impegno a non abbandonare mai il Suo popolo nella sofferenza. Non è solo un’azione: è un gesto di vicinanza, l’atto di abbassarsi per essere accanto a chi ha bisogno, di intervenire con amore e attenzione. Oggi, quelle stesse tre lettere hanno trovato un significato sorprendente. א (Alef), ר (Resh), ד (Dalet), tre lettere che sono anche le iniziali di tre nomi: Emily, Romi e Doron, gli ostaggi liberati la scorsa domenica, nell’accordo fra Israele e Hamas. Come se le parole della Torah riecheggiassero potentemente nella nostra realtà. Quel “scenderò” non è solo un ricordo di ciò che il Signore ha fatto per i figli d’Israele in Egitto, ma un messaggio che continua a parlarci, dimostrandoci la sua continua la presenza, soprattutto nei momenti di bisogno. Egli ascoltò il grido degli ebrei schiavi e promise di intervenire. Anche oggi, in un mondo che spesso sembra caotico e indifferente, c’è la certezza che il Signore ci osserva e si abbassa per rispondere alle nostre necessità, per essere vicino alle nostre sofferenze, come un padre nei confronti del figlio in difficoltà. Abbiamo visto questa promessa prendere forma nel passato e nel presente. È la nostra forza e speranza più grande: che non siamo mai soli, perché dall’alto c’è una mano che tende verso di noi.

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