Dopo l’attacco: le sfide dei giovani ebrei del mondo
Di Michal Colafranceschi, Ginevra Di Porto e Sara Menascì
Dal mattino del 7 ottobre, dopo l’attacco di Hamas contro Israele, la vita degli ebrei nel mondo ha subìto un profondo cambiamento. Si è verificato un aumento repentino di episodi di antisemitismo, con scritte offensive sui muri, manifesti antisionisti, cori violenti durante i cortei e atti vandalici. La tensione sociale è aumentata. HaTikwa ha raccolto stati d’animo, timori e disagi di alcuni giovani ebrei nel mondo. “Ricordo vividamente quel giorno – racconta Daniël, ragazzo olandese – Quando ho sentito la notizia ho pensato che non fosse nulla di eclatante, perché già altre volte Hamas aveva aggredito Israele. Poi mi sono reso conto di quanto la situazione fosse più grave”. Gradualmente, i nodi allo stomaco e la preoccupazione hanno preso il sopravvento. I giorni successivi all’attacco non sono stati più gli stessi. Le università sono diventate teatri di slogan antisemiti e perfino i simboli religiosi ebraici – come la Stella di David, il Maghen David – sono stati considerati accessori identificatori di una presa di posizione politica non gradita da parte dell’opinione pubblica. Daniel non è il solo, i suoi timori sono quelli di altre centinaia di coetanei. Tra questi Hadar, studentessa israeliana di Medicina a Roma, che ci racconta: “Ho cambiato la lingua impostata sul mio cellulare, sui mezzi pubblici e in università ho paura possano riconoscere la tastiera in ebraico”. La situazione la preoccupa a tal punto da evitare il centro della città, ma è un caso isolato. Il sentimento di allerta, invece, è comune. Ana, studentessa portoghese a Berlino, dopo il 7 ottobre ha deciso non uscire frequentemente di casa per alcune settimane, soprattutto in seguito alle Molotov lanciate sulla Sinagoga della capitale tedesca, non lontano dalla sua abitazione. Il culmine di un sentimento che, già prima della guerra, l’aveva spinta a cambiare la collana che indossava, su cui era scritto il suo nome con caratteri ebraici. Si denuncia dunque un clima ostile, in alcuni luoghi è difficile esprimere proprie idee. L’odio religioso è incontenibile dietro quello politico, che viene usato come scudo. C’è una macchina che, più o meno esplicitamente, cavalca l’onda della guerra per far risorgere i vecchi stereotipi antisemiti, per banalizzare la Shoah e che lavora per tentare di giustificare l’attacco di Hamas. Nelle aule scolastiche e universitarie, la posizione ideologica di alcuni professori e di molti studenti ha contribuito a creare un’atmosfera tesa dove assumere una posizione filoisraeliana espone a un rischio. “Non mi sono sentita tutelata da nessuno. Abbiamo mandato diverse mail alla Rettrice, silenzio tombale” ci spiega Kerol, ragazza al primo anno di università a Roma, sottolineando l’abbandono percepito dalle rappresentanze studentesche giovanili e universitarie. Non vale lo stesso per Victoria, che dall’Austria ci da una prospettiva diversa. “L’organo rappresentativo dell’università lavora a stretto contatto con l’Unione Austriaca degli Studenti Ebrei, motivo per cui mi sono sentita molto sostenuta e ascoltata come studentessa ebrea. Ogni volta che succede qualcosa nel campus, mando loro un messaggio e loro rispondono immediatamente e mi aiutano”. Nonostante le differenze, è comune nel dialogo sul tema si percepisca un antisemitismo non più latente da parte di chi usa Israele per attaccare gli ebrei. Questo impedisce ad Hadar di poter manifestare le proprie origini senza il timore di essere risucchiata nel vortice antisemita, o a Daniel di poter liberamente sostenere un dialogo in aula, o a Kerol di potersi godere liberamente la prima esperienza universitaria. Tutto questo ha cambiato la percezione della realtà, ma non scalfito lo spirito di tutti i giovani ebrei. La resilienza è parte del DNA ebraico e questa situazione rappresenta un altro ostacolo da superare nella storia ebraica. C’è l’apprensione per Israele, la preoccupazione per il rigurgito di antisemitismo, ma l’ebraismo giovane e istituzionale ha risposto prontamente alle tensioni con grande spirito di solidarietà. Uno slogan tra I giovani recita “The more you hate us, the Jewisher we get”, che significa “Più ci odiate, più siamo ebrei”.
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