Di fronte ad un bivio: esistere o morire?
di Ginevra Di Porto, Giulia Limentani, Giulia Sermoneta
Il progresso in ambito medico-scientifico ha portato l’uomo a porsi delle domande che hanno poi dato origine alla bioetica, la disciplina che si occupa di analizzare questioni morali legate alla vita e più nello specifico al rapporto tra questa e la ricerca biologica.
La Corte costituzionale si è recentemente riunita in Camera di Consiglio per discutere sull’ammissibilità del referendum denominato “Abrogazione parziale dell’articolo 579 del Codice penale”, che punisce con la reclusione da sei a quindici anni chiunque cagioni la morte di un uomo, col consenso di lui.
La proposta referendaria aveva l’obiettivo di abrogare alcune sezioni di tale articolo, permettendo, attraverso questa modifica, la legittimazione dell’eutanasia in Italia.
La Corte, che non ha ancora rilasciato il verdetto esteso, ha chiarito le motivazioni alla base della bocciatura, ritenendo inammissibile il quesito referendario perché, a seguito dell’abrogazione, ancorché parziale, della norma sull’omicidio del consenziente, cui il quesito mira, non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili.
‘’Il referendum non era sull’eutanasia, ma sull’omicidio del consenziente – ha detto il presidente della Corte costituzionale Giuliano Amato – L’omicidio del consenziente sarebbe stato lecito in casi ben più numerosi e diversi da quelli dell’eutanasia’’.
Indipendentemente dal merito della questione referendaria, il dibattito che ne è scaturito ha diviso il paese su diverse posizioni.
Dal punto di vista ebraico, la Halachà, l’insieme delle norme religiose dell’Ebraismo, tiene conto non solamente delle pure astrazioni religiose, ma anche delle esigenze legate alla stabilità sociale. Tuttavia, i progressi scientifici in campo medico hanno reso estremamente più difficoltoso questo tema già di per sé parecchio pungente.
Per quanto riguarda il suicidio assistito, si devono considerare i due principi essenziali che regolano le posizioni in questo ambito: non accelerare la morte e rimuovere gli impedimenti artificiali di essa.
È proibito ogni atto che possa accelerare la morte di un malato, seppur in fin di vita, in quanto a nessuno è concesso il diritto di procurare la morte, essendo questa un processo irreversibile e imminente, anche se per i medici non c’è più alcuna speranza e addirittura nel caso in cui sia il malato stesso a richiederlo.
Chi procura direttamente la morte ad un agonizzante è, in pratica, come se avesse compiuto un omicidio. Tale regola riguarda principalmente il medico, che non può in alcun modo suggerire al malato delle modalità per risolvere da solo il problema.
Rav Jakobovits, pioniere nel campo della bioetica in relazione con la religione e autore di “Jewish Medical Ethics”, sostiene che l’esigenza legittima di liberare dal dolore non possa prevalere sulla tutela della santità della vita.
Un secondo principio, che limita la valenza del primo, sancisce il permesso di rimuovere i fattori che indirettamente impediscono la morte di un paziente agonizzante.
Allo stesso tempo però, non vanno messe in atto misure che servano solo a prolungare le sofferenze del malato, in quanto nell’ebraismo la medicina è permessa solo nella misura in cui cura e guarisce.
Un esempio è il caso di un respiratore automatico applicato ad un malato terminale: la posizione generale definisce che se è chiaro che sia il respiro sia il battito cardiaco siano fermi e i criteri controllati tramite la regolazione di un interruttore con azione graduale e periodica, allora è permesso staccare l’apparecchio ed è proibito riapplicarlo. In maniera analoga, un paziente con attività cerebrale irreversibilmente danneggiata non deve essere sottoposto a cure che abbiano il solo fine di rimandare il decesso, però qualora le cure siano già in corso, non vanno interrotte.
Un altro problema riguarda l’impiego di farmaci antidolorifici, che sono permessi anche se possono affrettare la morte, purché non siano dati proprio a questo scopo.
Per quanto riguarda invece la preghiera per la morte di un paziente affinché questi possa smettere di soffrire, la questione è controversa e secondo posizioni recenti, si proibisce ai parenti questo tipo di preghiera, che invece è consentita al malato stesso, mentre a terzi può essere consentita solo a particolari condizioni, come la genericità dell’invocazione e l’inutilità dei mezzi messi a disposizione dalla medicina.
La casistica è dunque molto articolata, e riuscire a distinguere quando si parla di rimozione di un impedimento o di applicazione di un catalizzatore può rivelarsi complesso.
Le autorità rabbiniche esprimono una serie di opinioni su questi argomenti, a volte controverse.
Il rabbino ortodosso Eliezer Waldenberg, ad esempio, non consente la sospensione o il ritiro di qualsiasi tipo di terapia e la ragione di tale divieto riguarda il fatto che una persona non possiede il suo corpo, in quanto questo appartiene a D-o; pertanto, l’uomo non ha il diritto di fare niente che possa accorciare la sua vita.
Ciononostante, egli permette la somministrazione di antidolorifici, anche se tale farmaco potrebbe potenzialmente avere effetti avversi.
Nel dibattito legale e pubblico sull’eutanasia in Israele, la legge ebraica viene ripetutamente mobilitata a fianco di coloro che si oppongono a questo atto.
Negli ultimi anni, sono state spesso presentate sul tavolo della Knesset, il Parlamento israeliano, proposte che cercano di riconoscere la possibilità legale dell’eutanasia nello stato di Israele.
Lo scorso anno, la seduta plenaria della Knesset ha respinto il disegno di legge secondo cui un malato terminale potesse ricevere una prescrizione per un farmaco anestetizzante in una dose mortale, e il Ministro della Salute, Yaakov Litzman, ha citato la sua opposizione alla legge sulla base del fatto che, secondo lui, si trattasse di omicidio.
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