Deal of the Century: un dovere verso l’umanità

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HaTikwa, di David Fiorentini 

“Quando ero nel mondo del business, se c’era un affare molto complicato si diceva che fosse più difficile del conflitto israelo-palestinese, (…) ma io non sono stato eletto per nascondermi dalle difficoltà, sono stato eletto per fare grandi cose”. Così il POTUS Donald Trump martedì alle 12 di Washington DC ha aperto la presentazione del Deal of The Century, l’affare del secolo. La più grande e dettagliata offerta per mettere una volta per tutte la parola fine all’annosa questione mediorientale. Affiancato dal Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e alla presenza del capo dell’opposizione israeliano Benny Gantz, Trump ha preso una posizione storica, condivisa anche da molti Paesi del mondo arabo i cui ambasciatori erano presenti nella gremita platea della Casa Bianca.

Il piano di pace è una “win-win opportunity”, un’occasione da non perdere sia per gli israeliani che per i palestinesi, ma prima di poter scendere nei dettagli è necessario, ha spiegato il presidente americano, che alcune precondizioni siano raggiunte: innanzitutto l’Autorità Palestinese deve fermare le malefiche attività di Hamas, della Jihad Islamica e degli altri nemici della pace, terminando la propaganda di incitamento all’odio verso Israele e bloccando la compensazione economica per i terroristi. Per essere efficace il piano deve garantire la sicurezza di Israele e non deve comportare alcun rischio per i suoi cittadini; per questo motivo l’amministrazione statunitense si è prodigata negli scorsi mesi anche per stabilizzare l’intera regione: liberando tutti i territori sotto l’egemonia dell’ISIS, eliminandone il leader Abu Bakr Al-Baghdadi, uscendo dal terribile accordo sul nucleare iraniano ed uccidendo un altro grande nemico della pace, il generale iraniano Qassem Soleimani.

L’eccezionalità del Deal of the Century consiste nel genuino interesse verso il benessere della popolazione palestinese e non della dispotica classe dirigente: “Qualsiasi altro piano di pace aveva come unico obiettivo la creazione di due stati, come se ciò magicamente avesse potuto portare la pace. Il terrorismo, l’economia palestinese, il sovrappopolamento di Gaza sono fattori mai presi in considerazione.” Finalmente viene affrontato il “Day Two”, ovvero il mantenimento delle posizioni geopolitiche previste. Attraverso la crescita del welfare palestinese e della sicurezza israeliana viene in un modo completamente rivoluzionario risolto il nodo economico e sociale del conflitto.

Entrando nel merito del piano, sono numerosi i punti trattati dal team guidato da Jared Kushner, che si possono dividere in una parte politica e in una economico-sociale. In primis i palestinesi potranno avere un proprio stato veramente indipendente e con una contiguità territoriale garantita da un treno sotterraneo che collegherà Gaza alla Cisgiordania. D’altro canto, l’intera città di Gerusalemme sarà la capitale dello Stato d’Israele; i palestinesi potranno invece proclamare dei sobborghi (Kfar Aqab, Abu Dis e metà di Shuafat), impropriamente chiamati Gerusalemme Est, come capitale e gli USA vi stabiliranno un’ambasciata. La parte antica di Gerusalemme, su cui sorgono i siti sacri delle tre religioni monoteiste, rimarrà sotto il controllo israeliano che permetterà, come ha sempre fatto, libertà di culto a tutti i fedeli. Lo status quo nella Città Vecchia di Gerusalemme verrà garantito anche dal Re di Giordania, il quale ha espresso un forte sostegno per il piano americano.

Su una scala maggiore, Israele annetterà la Valle del Giordano, costituendo finalmente un confine orientale e annetterà tutti gli insediamenti ebraici presenti nella Giudea e nella Samaria, creando in alcuni casi delle enclavi nel futuro stato palestinese. Inoltre, ai palestinesi verranno concesse delle terre contigue alla Striscia di Gaza, raddoppiando il terreno totale su cui potrà stabilirsi lo Stato Palestinese. Infine, i magnifici patrimoni biblici attualmente nelle aree sotto il controllo palestinese dovranno essere accessibili, così da rifiorire in tempo moderni: tutta l’umanità deve avere la possibilità di conoscere e condividere le glorie della Terra Santa.

Una volta compiuta questa prima fase, la cui scadenza sarà nel 2024, gli Stati Uniti investiranno un enorme capitale nella nascente economia palestinese: ben 50 miliardi di dollari, che produrranno 1 milione di posti di lavoro, dimezzeranno il livello di povertà e raddoppieranno, se non triplicheranno, il GDP Palestinese. Una sorta di Piano Marshall che terminerà questo infinito ciclo di dipendenza da organizzazioni di beneficenza e aiuti internazionali, rendendo il nuovo stato indipendente sia politicamente che economicamente. “È ora per il mondo musulmano di riparare l’errore fatto nel 1948, quando scelse di attaccare invece di riconoscere lo Stato di Israele”.

Dopo il discorso del Presidente Trump, ha preso la parola il Premier Netanyahu che ha sottolineato ulteriori dettagli della parte politica del piano: innanzitutto i palestinesi dovranno riconoscere la legittimità di Israele come Stato Ebraico, procedere al disarmo di Hamas e alla smilitarizzazione di Gaza. Inoltre, il piano prevede persino la risoluzione del problema dei rifugiati palestinesi: infatti una gran parte di questi e i loro discendenti verranno ammessi nel nuovo stato palestinese, senza dover entrare in Israele e gravare su di esso.

Netanyahu, dopo aver ringraziato il Presidente Trump per il suo lavoro e la sua amicizia, ha concluso con un antico detto ebraico: “Se non ora, quando? se non noi, chi?”. Questo piano non è solo il Deal of The Century, ma anche l’”Opportunity of the Century”, che i palestinesi non possono farsi scappare, perché occasioni del genere non capiteranno più.


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