Dai quattro angoli del mondo per aiutare Israele – Il volontariato dei giovani ebrei del mondo nei Kibbutzim
di David Fiorentini
“Da quando i nostri dipendenti tailandesi hanno abbandonato il paese, non abbiamo nessuno che possa raccogliere i frutti del nostro lavoro. Poi per fortuna sono arrivati tantissimi volontari da tutto il mondo. Pensavamo che sarebbero scappati dopo dieci minuti nelle serre, invece sono rimasti, sono aumentati e ci hanno salvato.” Così racconta la sua miracolosa esperienza Shachar, imprenditore agricolo del piccolo moshav di Ahituv nel centro-nord di Israele. Immediatamente dopo lo scoppio della guerra e il pogrom del 7 ottobre, Hamas ha minacciato il Re della Thailandia di uccidere tutti gli ostaggi thailandesi se egli non avesse richiamato in patria tutti i suoi connazionali impiegati nello Stato ebraico. Quindi numerose aziende, che producono la grande maggioranza del fabbisogno alimentare israeliano, si sono ritrovate in estrema crisi, vedendo tutta la loro manodopera scomparire nell’arco di pochi giorni. Un dato drammatico, soprattutto se unito alla mobilitazione di massa dei riservisti, che ha tolto ulteriore forza lavoro. Da allora, numerosi gruppi di cittadini israeliani si sono mobilitati per sopperire a questa urgente mancanza di personale, gestendo turnazioni e calendari per evitare il tracollo del settore ortofrutticolo. Con essi, anche le organizzazioni ebraiche internazionali hanno implementato delle progettualità per portare in Israele migliaia di volontari vogliosi di offrire un contributo allo sforzo nazionale. Tra queste, spicca la speciale programmazione di Taglit-Birthright Israel, a cui una delegazione di giovani ebrei italiani ha aderito nel mese di marzo. Creata nel 1999 dai filantropi ebrei americani Charles Bronfman e Michael Steinhardt, Taglit si pone l’obiettivo di far visitare almeno una volta Israele a tutti i giovani ebrei dai 18 ai 26 anni, secondo il loro birth right, cioè il diritto di nascita in quanto ebrei. Pianificando ogni anno viaggi per oltre 25mila giovani da tutto il mondo, con il protrarsi del conflitto a Gaza l’ente è stato avvolto da un alone di incertezza sulle sue attività future. Da qui, l’intuizione: convertire i soliti viaggi turistici per “novizi” in spedizioni di volontariato aperte a tutti, fino ai 40 anni d’età. In brevi turni, da una o due settimane, le motivate comitive sono indirizzate verso i kibbutzim o moshavim più in difficoltà, sempre tenendo conto delle direttive di sicurezza fornite dal Ministero degli Interni. La nostra spedizione, la più numerosa organizzata finora, con ben 37 partecipanti da 8 paesi diversi, di cui 5 dall’Italia, ha preso in carico il piccolo moshav di Ahituv e per un giorno anche quello di Talmei Yosef a pochi chilometri da Rafah. Durante la nostra permanenza, abbiamo raccolto principalmente cetrioli e pomodorini datterini “Lobello”. Un lavoro semplice, ma gratificante e divertente, che in alcune giornate ci ha affiancato ad altri gruppi di volontari, israeliani e stranieri, giovani e meno giovani, accomunati dallo stesso spirito di solidarietà e fratellanza. Nel caldo della serra, tra balli e canzoni, ci siamo sentiti come i primi pionieri del secolo scorso e abbiamo riscoperto un senso di appartenenza ebraico originale e genuino, che porta alla mente gli esempi di Ben Gurion e Golda Meir, i quali sottolineavano profondamente l’aspetto sionista dell’agricoltura. Una professione storicamente preclusa agli ebrei, sia per volere dei governanti di turno sia per un tragico criterio di praticità, legato alla scarsa “trasportabilità” della professione in caso di persecuzioni o espulsioni. Per questo motivo, fin dagli albori dello Stato ebraico, e prima ancora dello Yishuv, l’agricoltore era un mestiere colmo di orgoglio, che rivendicava la nuova condizione di vera e acquisita libertà degli ebrei in Israele. Tra l’altro, secondo lo spirito dei padri e madri fondatori, il riscatto della terra, di Eretz Israel, sarebbe dovuto passare necessariamente dal lavoro manuale degli ebrei e non dalla manodopera straniera disponibile anche a minor prezzo. Giunti da tutto il mondo con l’Aliyah, gli Olim Hadashim si sarebbero dovuti mettere a disposizione del neo-nato Stato anche in mestieri diversi dai loro, per contribuire fattivamente alla fioritura della patria ancestrale. Nel nostro piccolo, abbiamo sentito l’importanza di rimboccarsi le maniche e sporcarsi le mani per tenere in piedi un paese che non può permettersi di dipendere eccessivamente sull’importazione, ma che con lo straordinario spirito di comunità del popolo ebraico ha l’impellenza di provvedere autonomamente ai bisogni primari dei suoi cittadini. Tornati in Italia, ci siamo resi conto dell’incanto di questa esperienza, che dopo mesi di angoscia e amarezze nelle università, tra continue manifestazioni violente e convegni faziosi, ci ha ricaricato le energie e conferito una nuova ispirazione e motivazione a impegnarci per i nostri valori e la nostra identità.
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Studente di Medicina presso Humanitas University di Milano, è stato Presidente UGEI nel biennio 2022-2023.
Nato e cresciuto a Siena, attualmente ricopre il ruolo di Policy Officer ed è redattore di HaTikwa.