Da New York a Gerusalemme, passando per Ginevra : un’ossessione per Israele
HaTikwa (D. Fiorentini) – Di fronte al crescente antisemitismo, mascherato abilmente da antisionismo e da una semplice avversione politica a Israele; la nuova frontiera su cui è necessario difendere gli inalienabili diritti degli ebrei è diventata addirittura l’Organizzazione delle Nazioni Unite. In particolare, oltre alle rinomate Assemblea Generale e Consiglio di Sicurezza, dal 2006 è stato creato un nuovo scenario: il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite. L’ente, nato con finalità nobili e ammirevoli come la salvaguardia dei Diritti Umani in tutto il mondo, è composto da 47 delle 193 nazioni rappresentate all’ONU. Dal momento della sua fondazione però, complice la presenza di stati come l’Arabia Saudita o l’Iraq (1), abbiamo assistito un chiaro accanimento nei confronti di Israele. Infatti dal 2006 a oggi sono state ben 62 le risoluzioni che condannano lo Stato Ebraico(2), decisamente di più in confronto ad altri Paesi che notoriamente hanno qualche problema interno non da poco: Siria, Iraq, Iran, Corea del Nord combinati assieme infatti contano soltanto 30 risoluzioni. Inoltre, questo trend è ripreso dalla stessa Assemblea Generale che nella sola 73esima seduta (2018-2019) ha promulgato 21 risoluzioni contro Israele, mentre solo 6 contro tutte le altre nazioni del mondo messe insieme(3).
Una vera e propria ossessione, che ha raggiunto il culmine il 18 Marzo 2019 in cui in una sola volta sono state approvate ben 5 condanne allo Stato che di fatto è l’unica libera democrazia del Medio Oriente. “Gli insediamenti israeliani nei territori palestinesi occupati, incluso Gerusalemme Est, e nel Golan siriano occupato”, “La situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati, incluso Gerusalemme Est”, “Il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione” , “I diritti umani nel Golan siriano occupato”, “Assicurando responsabilità e giustizia per tutte violazioni del diritto internazionale nei territori palestinesi occupati, incluso Gerusalemme Est””, titoli angoscianti, che non solo denunciano una situazione umanitaria devastante, ma sottointendono la presenza di una forza occupante spietata e belligerante. Senza entrare nei dettagli specifici di ogni risoluzione, vorrei sottolineare come tutte e 5 le risoluzioni convergano in poche e semplici massime come: “l’urgenza di ottenere senza ulteriori ritardi la fine dell’occupazione israeliana, che cominciò nel 1967, e affermando che ciò è necessario per garantire diritti umani e le convenzioni internazionali” (4) oppure “condanna l’uso intenzionale di misure letali o eccessivamente forti da parte di Israele, la forza occupante, contro civili, compreso contro quei civili con uno status di protezione speciale sotto il diritto internazionale, nella fattispecie bambini, giornalisti, personale medico e persone disabili che non possono costituire un pericolo mortale” (4), oppure perle come “(l’HRC) richiede che Israele (…) termini immediatamente la costruzione del muro nei territori palestinesi occupati, incluso Gerusalemme Est, smantelli con effetto immediato le strutture situate all’interno di questi, rimuovere o rendere ineffettive tutte le legislazioni e gli atti regolatori relativi a quei territori e che ripari tutto il danno causato dalla costruzione del suddetto muro, che ha avuto un grave impatto sui diritti umani e le condizioni socio-economiche del popolo palestinese”. (5) Queste sono solo alcune delle condanne volte a Israele in queste numerose pagine, che frase dopo frase hanno sempre più dell’assurdo.
Innanzitutto la presenza israeliana nei territori di Giudea, Samaria, Golan non è stata ottenuta con una manifestazione di forza bruta contro un popolo di poveri indifesi, ma è il risultato di un conflitto, durato incredibilmente 6 giorni, cominciato per di più dalla parte araba, che contava ben 4 eserciti alleati contro il solo Stato d’Israele. Come in ogni guerra, ai trattati di pace vengono stipulati accordi e concessioni; da questi Israele ottenne la penisola del Sinai e la Striscia di Gaza dall’Egitto, la Cisgiordania e Gerusalemme Est dalla Giordania e le alture del Golan dalla Siria. Con l’intento di mantenere rapporti diplomatici e preservare la pace, Israele negli anni si ritirò dalla penisola del Sinai e dalla Striscia di Gaza, lasciando la prima alla giurisdizione egiziana e la seconda ai “palestinesi”, con la speranza che quest’ultimi potessero fondare il proprio Stato e vivere in armonia. Ciò non accadde, anzi si creò un nemico ancora più vicino a Israele e più imprevedibile, visto che dopo false elezioni prese il potere il gruppo terroristico Hamas. Dopo ormai 14 anni e migliaia di razzi, aquiloni infuocati e attacchi suicidi lanciati verso Israele, è ragionevole concludere che la concessione di terre ai palestinesi non ha avuto l’effetto sperato, per cui è irrazionale e assurdo pretendere che Israele torni ai confini pre 1967 (rinunciando tra l’altro a luoghi sacri come il Muro del Pianto), poiché questo non porterà altro che una maggiore capacità di attacco da parte dei palestinesi e dei loro alleati arabi.
Un’altra questione presa in considerazione è quella della presunta eccessiva reazione da parte di Israele, che, riassumendo i vari punti delle cinque risoluzioni, bombarda a tappeto, rade al suolo case e villaggi, costruisce muri in territori fuori dalla propria giurisdizione, costringe numerose persone a fuggire e ferisce classi sociali indifese come bambini, anziani e disabili; mentre invece i palestinesi si dilettano in proteste pacifiche e in casi estremi osano lanciare qualche sassolino. In primo luogo, è da sottolineare il fatto che queste proteste, in teoria agitate a causa della mancanza di aiuti umanitari, sono rivolte unicamente sui confini con Israele (che ogni giorno fornisce acqua, corrente elettrica, viveri e medicine) e non sui confini con l’Egitto, che come Israele ha stabilito una rigida frontiera, ma al contrario dello Stato Ebraico, non concedono nemmeno supporto economico o umanitario. Come mai? Entrando nel merito della questione, lasciando perdere come i vicini di casa si relazionino con questi nuovi inquilini, è risaputo che Israele agisca in modo chirurgico quando si trova costretto ad intervenire nei territori a giurisdizione palestinese, in modo da limitare le ripercussioni sui civili. Le case demolite o i villaggi bombardati a cui si fa riferimento sono unicamente quelli chiaramente riconducibili a leader terroristi. Inoltre prima di effettuare una di queste due azioni belliche, vengono mandati avvisi o messaggi radio in arabo così da allertare i civili e affinché questi possano allontanarsi in tempo ed evitare di venire colpiti. Al contrario da Gaza vengono costantemente lanciati migliaia di missili verso Israele, in modo completamente aleatorio, tanto che spesso capita che colpiscano persino il territorio relativo a Gaza. Per di più, le “proteste pacifiche” che ormai quotidianamente si svolgono al confine tra Israele e Gaza, non sono altro che scorribande violente ed incivili, di numerosi terroristi che cercano, con i mezzi artigianali a disposizione, di causare più danni possibili agli israeliani circostanti. L’arma più di tendenza degli ultimi mesi è l’aquilone incendiario. Questa arma, spesso decorata da una svastica, ha causato danni ambientali clamorosi: interi campi e raccolti dati alle fiamme, numerose case rovinate e ingenti risorse idriche sprecate per sedare gli incendi.
Il vero squallore però deve ancora venire; infatti i “civili più deboli”, nella fattispecie bambini, vengono forzati a partecipare alle proteste, e sono sfruttati per creare uno scudo umano che renda ancora più difficile l’identificazione dei terroristi palestinesi che, nel frattempo, cercano di penetrare nel territorio israeliano. In altre parole, queste affermazioni promulgate dall’UNHRC sono molto distanti dalla realtà, ma sarebbero solo carta straccia se nessuno le desse peso; purtroppo questo genere di risoluzione riscuote sempre un enorme successo anche durante le sedute dell’Assemblea Generale. Infatti sono circa 150/160 gli Stati che si esprimono costantemente contro Israele, mentre sono solo una manciata quelli che invece si prodigano a favore di Israele. Solamente l’Australia, il Canada e in particolare gli Stati Uniti, non fanno mai mancare il loro supporto; tanto che, visto lo scempio delle ultime risoluzioni, gli USA hanno persino deciso, in segno di protesta, di abbandonare il loro seggio presso l’UNHRC. Purtroppo anche la nostra amata Italia, insieme a tutta l’UE, è partecipe a questo triste spettacolo. Sia per interessi commerciali con i Paesi Arabi, sia per le direttive UE promosse dall’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri Federica Mogherini, l’Italia, nonostante il forte legame culturale e religioso con Israele, ha spesso voltato le spalle allo Stato Ebraico. In conclusione, sulla base delle suddette considerazioni, una soluzione che potrebbe risollevare i rapporti tra Israele e l’ONU, potrebbe essere un esito favorevole delle prossime elezioni europee, sperando che la disastrosa politica anti-israeliana dell’Alto Rappresentante Mogherini possa essere sostituita da un nuovo approccio pro-Israele, che oltre a portare benefici in termini di collaborazione tecnologica, economica e culturale, possa invertire il trend di votazioni presso le Nazioni Unite, cosicché possa essere riconosciuta verità e obiettività nella valutazione del conflitto arabo-israeliano.
Note
1. https://www.ohchr.org/en/hrbodies/hrc/pages/membership.aspx
2. http://ap.ohchr.org/documents/sdpage_e.aspx?b=10&c=89&t=4
3. https://www.unwatch.org/2018-un-general-assembly-resolutions-singling-israel-textsvotes-analysis/
4. A/HRC/40/L.25
5. A/HRC/40/L.27
L’Unione Giovani Ebrei d’Italia (UGEI) è un’organizzazione ebraica italiana. Essa rappresenta tutti gli ebrei italiani di età compresa tra i 18 e i 35 anni. L’organo ufficiale di stampa UGEI è HaTikwa: un giornale aperto al confronto di idee.