COVID: nessuno ha trovato la soluzione, ma tutti sostengono di avercela.

corona

di Dan Toaff 

 

Da giugno l’Italia è entrata nella cosiddetta Fase 2, ovvero quella in cui, passato il periodo di lockdown a cui gli italiani erano costretti a rimanere dall’11 marzo, si sarebbero dovute riprendere tutte quelle attività commerciali rimaste temporaneamente chiuse a causa dell’avanzata del COVID-19.

Quello che è successo dopo questa data, è stato un insieme di provvedimenti e decisioni prese dal governo che avrebbero dovuto consentire una ripresa economica e sociale, in relazione ad una tenuta della curva epidemiologica sotto la soglia di pericolo. Ovviamente, le semplici decisioni dell’establishment non sarebbero mai state sufficienti, se a ciò non sarebbe conseguito un senso di responsabilità e impegno da parte di tutti i cittadini.

Le prospettive di ripresa c’erano tutte; si pensava che il peggio fosse passato, e che si sarebbe potuto guardare al futuro con occhi diversi, e non con l’insicurezza degli ultimi mesi. Ad oggi, però, la situazione sembra essere tornata critica, incerta su ciò che ci attende. Infatti, malgrado quello che abbiamo passato tra marzo e aprile, sembra scontato il sopraggiungere di un secondo lockdown, o comunque di un periodo più o meno limitato di restrizioni alla nostra quotidianità.

La domanda che potrebbe sorgere spontanea è se tutto ciò non poteva essere gestito in modo diverso, evitando così di tornare alla stessa situazione di prima. Sì, perché quello che potrebbe pensare qualcuno, è che tutti gli sforzi fatti nei mesi precedenti siano stati vanificati, e che con ciò la gestione al problema debba necessariamente cambiare.

Quello che appare, tuttavia, è un quadro internazionale che peggiora, una situazione non ancorata ai confini nazionali, ma che tende a dilagare nei maggiori paesi europei. Sicuramente ogni paese varia come tempismo e gravità, ma possiamo dire con certezza che la seconda ondata è stata oramai registrata da gran parte di quei paesi che in estate erano riusciti ad abbassare i contagi di inizio primavera (come Belgio, Regno unito o Francia).

Più che mettere in dubbio la gestione del problema Covid-19, bisognerebbe forse comprendere come il problema è esattamente la gestione di tutto il resto. Il virus, come sostenuto da qualche virologo, continuerà sempre a manifestarsi finché non cambiamo completamente le nostre abitudini. Quelle azioni che prima non erano considerate pericolose da svolgere nel quotidiano, da un giorno all’altro sono diventate rischiose per tutta la collettività. E ovviamente ciò ha conseguenze sull’economia di una nazione, che da un giorno all’altro deve reinventarsi per mettere d’accordo tutti.

Infatti, con il sopraggiungere del virus, la sfida è diventata duplice; da una parte limitare nel breve periodo la sua diffusione, dall’altra permettere che, nel lungo periodo, tutte le attività riuscissero ad operare in sicurezza. E quest’ultimo punto non sempre si è rivelato facile.

Prendiamo come esempio il calcio, sport dietro cui gira un fatturato pari a 4,7 miliardi di euro. Si tratta di una delle 10 principali industrie italiane. 6 mesi fa, pensare che tutto quel settore sarebbe tornato ai ritmi pre-covid era utopia. Ma dato il volume d’affari, si è andati oltre, e tramite tamponi giornalieri e protocolli più o meno chiari, le squadre ad oggi giocano anche tre partite a settimana. Questo modo di fare non è stato esente da critiche, controversie e ricorsi. Zone d’ombra che sono sopraggiunte laddove non si era riusciti, in fretta e furia, ad uniformare un settore.

Altro esempio riguarda lo scandalo delle discoteche aperte in estate. Un intero settore che sarebbe dovuto rimanere fermo nonostante la riapertura estiva, e che invece ha cercato, in maniera più o meno adeguata, di continuare a svolgere le proprie attività. Anche questa scelta non è stata esente da critiche, tanto che molti hanno manifestato la necessità di lasciare chiusi questi luoghi, in cui difficilmente le regole per evitare la diffusione del virus sarebbero state mantenute.

Infine, pensando ai giorni attuali, possiamo prendere ad esempio i mezzi pubblici, sui quali c’era una grande preoccupazione prima dell’inizio della Fase 2, ma che fino a settembre sembravano non essere un problema. Con l’inizio della stagione lavorativa, invece, sono emerse lacune insormontabili: è praticamente impossibile permettere il distanziamento sociale su tutti gli autobus, i tram e le metropolitane.

Ma la soluzione a tutto ciò quale sarebbe stata? Non aprire? E con quali conseguenze sull’economia? Se a tutto ciò aggiungiamo che dottori e virologi si sono divisi, come in politica, tra chi sosteneva l’impossibilità di una nuova ondata (a maggio il primario dell’Ospedale San Raffaele Alberto Zangrillo diceva che il virus “clinicamente non esiste più”), e chi invece iniziava a parlarne già ad agosto, capiamo come la confusione sia stata creata dagli stessi che dovevano portare chiarezza.

Forse, se seguissimo tutto quello che dicono gli esperti, saremmo veramente in grado di evitare altri lockdown, ma si porrebbe subito un altro problema: potremmo chiamarla normalità quella? Ogni premier ha incentivato i cittadini a seguire le regole per evitare la propagazione del virus (indossare la mascherina, distanziamento sociale, uscire il meno possibile), sostenendo che in poco tempo si sarebbe tornati alla normalità. Ma se la normalità, come la conosciamo noi, dovesse veramente tornare, in poco tempo lo farebbe anche il virus.

Non ci resta che sperare nel verificarsi di due eventi: l’arrivo di un vaccino in tempi brevi, ma soprattutto che nel frattempo non si debba vivere ancora peggio.

 

 

 


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