16 Giugno 20209min

Contro la distruzione del passato

di Nathan Greppi

 

Nel film del 2005 Thank you for smoking, il regista ebreo canadese Jason Reitman ritraeva politici e attivisti contro il fumo che, spinti da un moralismo estremo, arrivavano a proporre di censurare film e dipinti dove comparivano sigarette, pur di non mandare un “cattivo messaggio”. 15 anni dopo, ha fatto la sua comparsa nel dibattito pubblico un altro tipo di moralismo, che invece delle lobby del tabacco prende di mira il razzismo e il sessismo, ma che si è manifestato con una brutalità di gran lunga superiore a quella narrata nel film.

Il contesto

Negli ultimi giorni, a seguito delle proteste dovute all’uccisione di George Floyd, sono ricominciate nei paesi anglosassoni le distruzioni e i vandalismi di statue legate a personaggi storici che hanno praticato lo schiavismo o erano razzisti, come era già successo nei mesi successivi all’elezione di Donald Trump. Stavolta, tuttavia, questo fenomeno è peggiorato per diversi motivi: innanzitutto, ad essere state colpite non sono state solo statue di figure storiche razziste, ma anche le statue di Abramo Lincoln, che fece abolire la schiavitù negli USA e fu assassinato per questo, di Winston Churchill, che ha contribuito a liberare l’Europa dai nazisti, e persino di Gandhi.

Il secondo motivo è che stavolta anche politici importanti stanno apertamente appoggiando questo fenomeno: a Londra il sindaco Sadiq Khan ha annunciato di voler creare una commissione per valutare quali statue rimuovere nella capitale inglese. E anche a Milano la giunta di Sala sta discutendo, su pressione dell’associazione dei Sentinelli, di rimuovere dai giardini pubblici la statua di Indro Montanelli, tra i più importanti giornalisti italiani del ‘900, poiché aveva sposato una bambina eritrea di 12 anni.

Ma ad essere prese di mira sono anche opere d’arte di grande importanza: l’emittente americana HBO ha recentemente rimosso dalla propria piattaforma streaming il film del 1939 Via col vento, un classico della storia del cinema, per il modo stereotipato in cui venivano rappresentanti i neri.

Analisi

Tutti questi eventi sono sintomi di un fenomeno più grande, che da tanti anni sta contagiando l’Occidente: l’odio di sé che provano europei e americani per il passato colonialista dei loro paesi, e che maschera una più generale mancanza di autostima culturale e generazionale. A ciò si unisce il fatto che, negli ultimi anni, una parte del mondo politico e culturale, sta promuovendo sempre di più una vera e propria epurazione di tutti quei personaggi del passato che avevano idee discriminatorie.

Questa tendenza è probabilmente dovuta anche a uno studio superficiale o ideologizzato della storia, che nell’epoca dei social viene fatto più tramite gli slogan che leggendo libri. E probabilmente anche la crescente immigrazione in Occidente da paesi che un tempo erano colonie ha influito molto: invece di aiutare gli immigrati e i loro discendenti a integrarsi, una parte della sinistra ha preferito mostrare un atteggiamento sottomesso, quasi a voler fare ammenda per le colpe dei propri avi.

Il problema è che se davvero si vuole capire la storia, bisogna studiarla invece che eliminarla; movimenti come Black Lives Matter, invece, vogliono stravolgere la storia dell’Occidente visto come la causa di tutti i mali. Come ha scritto Giulio Meotti su Il Foglio, “ora è come se tutta la storia occidentale fosse una gigantesca apartheid. Come se un destino inesorabile ci imponesse non solo di tirare giù le statue, ma di tirarci da parte.” Ciò alimenta il vittimismo delle minoranze, impedendo loro di svilupparsi sul piano socioeconomico e culturale. Non si contestualizza niente, rischiando seriamente di distruggere le nostre radici: oggi distruggono le statue di Cristoforo Colombo, domani potrebbero censurare Dante perché mise Maometto e gli omosessuali all’Inferno.

Inoltre, non si tiene conto che quasi tutte le grandi civiltà, nel corso della loro storia, hanno commesso atrocità: dall’Impero Romano a quello di Gengis Khan, dai babilonesi agli antichi egizi, ma a nessuno verrebbe in mente di non studiarne più la storia. Per non parlare dello schiavismo dei neri praticato dagli arabi nel Medioevo, non meno cruento di quello praticato dagli europei, ma di cui si parla poco.

Una preoccupazione da non escludere è che, alla lunga, anche gli ebrei possano avere la tentazione di non accettare più opere d’arte o eventi storici legati all’antisemitismo: censurare autori come Dostoevskij o capolavori come Il Mercante di Venezia, smettere di studiare Tacito, impoverirebbero culturalmente sia gli ebrei che la società in generale. Questi timori possono sembrare esagerati, ma non bisogna sottovalutare la questione: non a caso, uno dei primi intellettuali che ha cercato di smontare la storia americana sulla base delle discriminazioni di neri e indiani fu lo storico ebreo Howard Zinn, che con il suo libro del 1980 A People’s History of the United States sosteneva di voler smontare la narrazione storica delle elite. 40 anni dopo, il problema che stiamo affrontando è esattamente l’opposto.

Che fare?

Una possibile soluzione al problema potrebbe essere l’esatto contrario di ciò che ha sostenuto, in un recente editoriale sul quotidiano Avvenire, lo storico Franco Cardini, per cui l’iconoclastia è sempre esistita ed è giusto revisionare la storia per parlare dei crimini del colonialismo. A parte il fatto che Cardini si sofferma perlopiù sui genocidi perpetuati dal colonialismo anglosassone, se è vero che l’iconoclastia è sempre esistita, il suo prevalere va visto come una sconfitta invece che come un fenomeno da accettare.

Invece di distruggere i simboli della nostra storia li si può affiancare ad altri legati alla storia degli altri popoli; aggiungere, non sostituire. Un esempio di ciò ce lo fornisce la presidenza di Nelson Mandela in Sudafrica: come si vede nel film del 2009 Invictus, Mandela permise ai bianchi di conservare simboli del loro orgoglio che i neri invece vedevano come legati all’apartheid, al fine di riappacificare il paese. Allo stesso modo, si dovrebbe risparmiare le statue di grandi personaggi storici, anche se fecero cose che ai nostri occhi appaiono riprovevoli.

Difendere i simboli della storia occidentale non è una giustificazione del razzismo o del colonialismo, ma una difesa delle nostre radici, che non si possono cambiare. La nostra società ha sviluppato da tempo gli anticorpi all’odio per il diverso, ma non li ha sviluppati per l’odio nei propri confronti, non meno pericoloso. Prima di predicare l’amore tra i popoli, dobbiamo ricominciare ad amare noi stessi.


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