Contro i pregiudizi e l’indifferenza: una visita al Memoriale della Shoah

binario21

di David Zebuloni

 

A presentarci è stata un’amica d’eccezione: la Senatrice a Vita, Liliana Segre. “Devi assolutamente conoscerla”, mi ha detto. “Ha un sorriso bellissimo”. E così è stato. Incontro Talia Bidussa, ex Presidente Ugei, al Memoriale della Shoah di Milano. Mi aggrego ad un gruppo di liceali guidato dalla stessa Talia e la sento raccontare: “La consapevolezza con cui uscirete da questo posto, nasce proprio dal fatto di vivere il luogo in cui sono avvenuti i fatti di cui parliamo. La vostra consapevolezza nasce dalle sensazioni che avvertirete. Ad esempio, tra un po’ sentirete il rumore di un treno che passa sopra di noi. Questo è esattamente il suono che sentivano i deportati prima di partire. Sentirete anche freddo, che è lo stesso freddo che sentivano i deportati. Avvertirete un senso di vuoto, che è l’esatto senso di vuoto che avvertivano i deportati. Questa è la differenza tra un museo ed un memoriale: la protagonista è la vostra sensazione; non le date, non i concetti”. I ragazzi ascoltano in silenzio, cominciano a cogliere l’importanza storica del luogo in cui si trovano. Ad accoglierli all’ingresso vi è la celebre parete di cemento con sopra incisa la parola INDIFFERENZA, così fortemente voluta da Liliana Segre. “Perché non razzismo? Perché non guerra? Perché non uguaglianza?”, chiede Talia ai giovani visitatori. “L’indifferenza è il male vero da combattere, perché è ciò che permette di agire in maniera indisturbata. Anche oggi, pensate a quante morti noi ignoriamo, quante tragedie facciamo finta di non vedere. Di chi è la colpa? Solo di chi sta effettivamente mettendo in pratica la tragedia o è anche colpa nostra, che non facciamo nulla per evitarla? Ecco che l’indifferenza diventa la chiave a quello che è il percorso del Memoriale”. La visita prosegue. I ragazzi si lasciano accompagnare da Talia passo per passo, nella storia. Osservano affascinati, scattano qualche fotografia. “Questi vagoni sono un luogo non luogo”, spiega Talia. “Questa è la terra di mezzo, è già il campo ma al tempo stesso c’è ancora la speranza che il campo non sia quello che si dimostrerà essere. Questo stadio di incertezza contribuisce al panico generale. Questi vagoni sono parte del processo di distruzione di identità e di eliminazione dei più deboli”. La visita fa capolinea davanti ad una grande parete spoglia sulla quale vi sono proiettati i nomi dei deportati di quel primo convoglio partito dal binario 21. “Vi lancio una sfida”, conclude Talia. “Provate a scegliere un nome che non c’entri nulla con la vostra famiglia o con la famiglia di un amico. Un nome a voi sconosciuto. Ecco, scegliete un nome e provate a cercare la sua storia online. Provate ad immaginare quale fosse la sua vita, ancor più che la sua morte, immaginate com’è stata la sua vita”. I ragazzi la salutano, la ringraziano, le pongono le ultime domande. Io, invece, continuo a conversare con Talia nel suo ufficio.

Comincio complimentandomi per la visita, i ragazzi pendevano dalle tue labbra e non ho visto nemmeno un telefonino circolare. Oltre a guidare queste visite, qual è il tuo ruolo all’interno del Memoriale?
Io mi occupo della parte operativa, ovvero di tutto ciò che riguarda la realizzazione pratica di eventi, mostre e progetti culturali. Progetti per altro che sono stati richiesti dalla Fondazione Memoriale della Shoah, anche in seguito alla promessa di nuovi fondi da parte del Ministero. La Fondazione si è accorta di essere molto forte con gli studenti e con le scuole e ha deciso di potenziare il focus sul pubblico adulto. Io lavoro molto con Marco Vigevani che è un agente letterario che volontariamente si è prestato a dirigere la parte degli eventi e delle mostre insieme a Daniela Di Veroli, che è la coordinatrice del Memoriale.

Come nascono i vostri progetti?
Nel caso della rassegna “Premesso che non sono razzista”, inizialmente ci siamo posti la domanda: “Qual è il ruolo del Memoriale?”. Abbiamo capito che questo è un luogo in cui riflettere sul pregiudizio, su quelle cause che portano al verificarsi di situazioni simili. Nella prima parte abbiamo avuto una serie di incontri più psicologici, storici e filosofici in cui si andava ad analizzare che cos’è il pregiudizio. La seconda parte invece è più attualizzante, in quanto ci concentriamo più su quella che è la lingua, cercando di riconoscere quelle parole che pur sembrando innocenti in realtà nascondono dietro una storia di risentimento e sospetto.

Quindi uno degli obbiettivi del Memoriale è quello di attualizzare la storia e la memoria…
Sì, uno dei nostri focus è il presente ed il futuro. Il ricordo e la rielaborazione del ricordo. Ci chiediamo cosa oggi va evitato affinché non si attui un processo simile, sotto alcuni aspetti, a quello che è stato.

Ed i feedback come sono?
Molto positivi. Anche perché piano piano il Memoriale sta diventando un centro di cultura. Viviamo in una città che offre moltissime opportunità, quindi il fatto di affermarci sempre più come tale ci dà la misura di quanto sia efficace l’operato.

Prima sentivo che spiegavi ai ragazzi la differenza tra museo e memoriale. Puoi accennarmi ancora qualche parola?
L’idea è che il Memoriale è un contenitore, inteso come spazio che puoi riempire, ma è anche il contenuto stesso. Le sensazioni che questo luogo ti trasmette, i suoni che senti al suo interno, sono parte del contenuto. Inoltre, nel Memoriale il ricordo ha una funzione sociale. Non è solo il ricordo fine a se stesso, ma ha anche la funzione di farti prendere consapevolezza sul tuo ruolo sociale. Come hai potuto vedere, quando parliamo di indifferenza parliamo del ’38 e parliamo di oggi. Cosa io oggi faccio che mi rende indifferente nei confronti di una sofferenza altrui? Di una discriminazione altrui, di un’ingiustizia? Le conseguenze dell’indifferenza non finiscono nel momento in cui finisce l’ingiustizia, ma vanno avanti tutta la vita. Liliana spesso parla di quanto lei abbia continuato a soffrire anche negli anni successivi alla guerra.

Sono trascorsi diversi anni dalla mia ultima visita al Memoriale e, come spesso mi capita, mi sono perso tra le vie di Milano prima di riuscire a trovare la meta. La grande sorpresa è stata che alla domanda “Mi scusi, saprebbe indicarmi dove si trova il Memoriale della Shoah?”, in molti hanno saputo darmi una risposta. Sono stato solo fortunato o i milanesi stanno davvero imparando a conoscere questo luogo?
C’è ancora un po’ di lavoro da fare, però l’anno scorso la Fondazione ha cercato di coinvolgere quante più ali di interesse. Per esempio hanno organizzato una visita per duecento tassisti, appunto perché non sapevano dove di trovasse il Memoriale. Adesso stiamo pensando ad una campagna pubblicitaria per fare il passo successivo e fare in modo che tutti i cittadini conoscano il luogo.

E quali sono i vostri progetti futuri? Ho notato che ci sono aree del Memoriale ancora in allestimento…
Sì, mancano ancora la biblioteca, l’aula studio, la Agorà e la sala multimediale, che è quasi ultimata.

Immagino che il lavoro al Memoriale preveda anche incontri molto toccanti, c’è un episodio che ricordi con particolare emozione?
Di momenti toccanti ce ne sono moltissimi, specialmente quando arrivano in visita delle persone che hanno una storia famigliare legata alla deportazione. Mi interessa molto sentire i loro racconti e vedere il legame che creano con il luogo. Sono sempre molto contenta quando, durante le visite, emergono i pregiudizi. Per esempio quando ho chiesto prima ai ragazzi cosa sapessero sugli ebrei hanno risposto “sono ricchi”. Paradossalmente questo mi fa particolarmente piacere perché significa che si sentono abbastanza a loro agio da poter dire ciò che probabilmente tutti pensano ma nessuno dice, e poi perché mi dà l’opportunità di andare alla radice del pregiudizio e distruggerlo.

Si tratta di episodi sporadici o è un fenomeno che si manifesta con frequenza?
Succede quasi sempre. Non parlo di frasi dette con un intento negativo. A volte pensano di fare un complimento dicendo “ce l’avevano con gli ebrei per invidia perché erano ricchi”.

Succede solo con i giovani o anche gli adulti sanno rendersi così trasparenti?
Gli adulti sono un po’ più consapevoli, ma spesso svelano anche loro gli stessi preconcetti. I visitatori conoscono solo l’ebreo della Shoah o conoscono anche l’ebreo di oggi? Tendenzialmente cerco di non toccare troppo l’argomento perché ciò che più mi preme è riconoscere quelli che sono gli schemi mentali e comportamentali che si ripetono. Però comincio sempre le visite chiedendo ai ragazzi se sanno quanti ebrei ci sono oggi in Italia e scopro ogni volta che i numeri vengono sempre gonfiati nelle loro menti. Pensano che siamo in molti di più. Alcuni invece nominano Israele, ma noi cerchiamo di non parlarne perché si tratta di un argomento che non c’entra nel contesto, che rischia solo di confondere ulteriormente. Meglio meno concetti ma chiari, che molti e confusi.

Riconosci dunque una certa difficoltà nel distinguere l’ebreo dall’israeliano…
Gli adulti che vengono qua fanno una scelta consapevole, cioè scelgono di passare un’ora del loro pomeriggio al Memoriale. Ovviamente i preconcetti ci sono sempre, ma probabilmente sono meno acuiti rispetto a quelli che potresti incontrare per strada. A me non è mai capitato che durante una visita un partecipante dicesse frasi quali “voi state facendo lo stesso con i palestinesi”, ma so che ad altre guide è successo. La risposta solitamente è “di questo ne parliamo fuori”. Non è una minaccia ovviamente, è solo un modo per distinguere i due argomenti, anche solo fisicamente. Dicendo “qui parliamo di questo e fuori parliamo di altro” in realtà spieghiamo che si stanno trattando due argomenti completamente diversi tra loro.

Tornando ai tanti eventi che state organizzando, ce n’è qualcuno in particolare che pensi possa interessare ai nostri giovani lettori?
Secondo me un evento molto interessante è quello che tratta del colonialismo italiano, di cui non se ne parla mai. L’incontro dal nome “Faccetta nera: dal colonialismo al post colonialismo” avviene il 14 Marzo e vede come relatori Guido Barbujani e Francesca Melandri. Ci sono altri incontri che sento particolarmente vicini, per esempio l’incontro con Donald Sassoon, il 4 di Marzo, che tratta degli estremismi in Europa. Penso sia importante specialmente per quei giovani che si apprestano a votare alle europee, alcuni per la prima volta. Parlare di estremismo è estremamente importante, ovviamente rimanendo sempre sul concetto e non parlando del singolo rappresentante politico. Anche perché molto spesso il singolo è solo un sintomo, sono le migliaia di persone che gli mettono like su Facebook il vero problema, come abbiamo visto nel caso di Lannutti che ha citato sul suo profilo i Protocolli dei Savi di Sion.

Un’ultima domanda. Qual è il tuo coinvolgimento personale in quello che è il grande progetto chiamato Memoriale?
Il progetto Memoriale mi piace molto perché penso che sia un luogo in cui si vedono esattamente tutte le varie tipologie di responsabilità: la responsabilità personale, la responsabilità del luogo comune, la responsabilità dell’appartenente ad un gruppo sociale. Credo che sia una tematica molto importante e molto attuale, perché viviamo in un periodo in cui i sentimenti estremi sono tornati di moda, in un senso e nell’altro. Ci sono vari esempi nella storia di periodi che se ne vanno e poi ritornano. Penso che sia importante riconoscerne i segnali e il Memoriale è il luogo perfetto in cui parlarne. Per questo motivo credo tanto nel nostro progetto.


UGEI

L’Unione Giovani Ebrei d’Italia coordina ed unisce le associazioni giovanili ebraiche ed i giovani ebrei che ad essa aderiscono.


Contattaci




HaTikwa

Organo ufficiale di stampa dell’UGEI è HaTikwa, giornale aperto al libero confronto delle idee nel rispetto di tutte le opinioni.


Contattaci