“Charlotte Salomon”, l’intervista agli autori della graphic novel che ricorda una vittima della Shoah
HaTikwa (N. Greppi) – Charlotte Salomon aveva solo 26 anni quando morì ad Auschwitz. Ma prima di essere deportata, questa giovane pittrice ebrea tedesca riuscì a consegnare a un amico tutti i suoi lavori, che in seguito vennero raccolti nell’opera Vità? O Teatro?, che dopo la morte la rese famosa in tutto il mondo. Sulla sua vita è uscita a gennaio la graphic novel Charlotte Salomon. I colori dell’anima, pubblicata da Beccogiallo. Gli autori dell’opera, la sceneggiatrice Ilaria Ferramosca e il disegnatore Gian Marco De Francisco, hanno gentilmente concesso un’intervista ad HaTikwa.
Come è nata l’idea del progetto?
Ferramosca: È nata nel 2013 da una chiacchierata con un’amica operatrice culturale, che conosceva bene la storia di Charlotte Salomon. La sua enfasi, la sua passione nel raccontarmela, me ne fecero innamorare; tanto più che la storia di Charlotte è ancora viva e attuale, ai nostri tempi più che mai: il clima in cui ci ritroviamo a livello internazionale, sta riproponendo semi di odio e inciviltà sempre più frequenti e credo che ci voglia un soffio a tornare indietro di ottant’anni, benché si cerchi di negare e sottovalutare il problema sotto le sue varie sfaccettature (sia antisemite che razziali in genere). C’è una frase di Paulina, la seconda madre di Charlotte, pronunciata nel fumetto e tratta dai suoi guazzi, che dice: “In una società civile come la nostra, certe forme d’odio sono inaccettabili da tutti, per cui un movimento come questo (quello nazionalsocialista) è destinato a spegnersi”. Un’affermazione che mi ha molto colpita, perché la società di allora era già considerata progredita, esattamente come la nostra, eppure intolleranza e avversione presero il sopravvento. Determinate manifestazioni non vanno mai minimizzate, neanche oggi siamo esenti da un possibile regresso.
De Francisco: Il progetto ha visto un’interlocuzione tra me, Ilaria e la casa editrice. Dovevamo proporre qualcosa di respiro internazionale, e tra le varie opzioni lei ha proposto questa storia che per la sua potenza ci ha colpito profondamente.
Tra il documentarsi sulla vita della Salomon, la stesura della sceneggiatura e i disegni quanto tempo è occorso prima che l’opera fosse conclusa?
Ferramosca: Circa un anno e mezzo.
De Francisco: Per i disegni 8-9 mesi, perché oltre alla documentazione storica della sceneggiatrice era importante anche che io mi facessi una documentazione visiva.
Durante il lavoro vi siete scambiati consigli oppure ognuno ha lavorato in autonomia?
Ferramosca: Un fumetto vive di due anime: la sceneggiatura e il disegno, che hanno necessità l’una dell’altra e non possono rimanere distinte, diversamente il fumetto non esisterebbe, sarebbe solo illustrazione o, di contro, narrativa scritta. Per questo motivo l’interazione tra sceneggiatore e disegnatore avviene con regolarità; nel nostro caso, prima che Gian Marco iniziasse a lavorare sulle tavole, ci siamo incontrati più volte per analizzare la sceneggiatura. In seguito abbiamo avuto scambi di email con tavole in allegato, magari per rendere più enfatica la recitazione dei personaggi in alcune vignette, o chiarire eventuali dubbi e gestire piccole incongruenze grafiche che, a volte, possono verificarsi sulle tavole.
De Francisco: Ormai noi siamo una coppia lavorativa già da molti anni, e quando la sceneggiatura è terminata Ilaria mi ha lasciato molta libertà.
C’è un episodio particolare della vita di Charlotte Salomon che vi ha particolarmente colpiti? Se si, quale?
Ferramosca: Non uno in particolare, mi ha colpita la grande forza di volontà, la sua determinazione (che tra le tante cose l’ha portata a essere l’unica studentessa ebrea ammessa in accademia, in quel periodo), la sua voglia di vita nonostante fosse circondata da una catena di lutti familiari e dall’orrore della guerra. Quella di Charlotte è anche una storia di depressione, quel male oscuro che è un altro degli aspetti che la rendono attuale, e ci dimostra che una grande passione, come quella per l’arte, può costituire una valida terapia per venirne fuori.
De Francisco: essendo padre, mi ha colpito la leggerezza con cui la figlia crede alla madre quando questa le dice che andrà in cielo, e quando i parenti sono in lutto lei li rimbrotta pensando che la madre sia diventata un angelo.
Due anni fa BeccoGiallo ha pubblicato una graphic novel su Primo Levi; avete avuto dei modelli di riferimento, tipo altri fumetti legati alla Shoah?
Ferramosca: Quando si parla di fumetti sulla Shoah è inevitabile pensare a “Maus” di Spiegelman, primo punto di riferimento, ma grazie alla nostra prefatrice, Claudia Bourdin, ho scoperto che ne esisteva uno precedente, edito solo in Francia: “La bête est morte”. Senza contare che l’intera opera di Charlotte, “Vita? O teatro?” è realizzata come fosse un graphic novel: i guazzi sono in sequenza temporale e raccontano tutta la storia della sua vita. Inoltre alcune tavole contengono più momenti (quasi fossero vignette senza griglia) e figure in movimento, simili a dei piani sequenza; spesso, inoltre, ci sono testi inseriti. Già questo, quindi, era un modello di riferimento diretto, ma altri sono giunti, senza dubbio, dalla narrativa e dalla cinematografia, ricche di moltissime opere di enorme bellezza, nonostante descrivano un orrore di vaste dimensioni.
De Francisco: sapevamo di altri prodotti di BeccoGiallo, ma io non ho attinto a nulla per non farmi influenzare. Mi sono concentrato sulla produzione della Salomon.
– Secondo voi oggi in Italia la Shoah viene trattata con più o meno serietà rispetto al passato?
Ferramosca: Viene trattata con più attenzione a livello mediatico e voglio sperare che questo porti a una sincera presa di consapevolezza, non a una sorta di obbligo passivo verso una ricorrenza prefissata. Nelle scuole in cui abbiamo presentato finora il libro, per esempio, abbiamo sì riscontrato serietà, ma in alcuni casi anche superficialità; inoltre siamo consci dei numerosi episodi di antisemitismo, in Italia come anche in Francia, segno che forse a livello culturale c’è ancora molto da fare.
De Francisco: certamente c’è più sensibilità oggi rispetto a quando io ero ragazzino (ha 43 anni, ndr), quando ero al liceo si parlava a stento della Seconda Guerra Mondiale, oggi i docenti sono più preparati. Di contro noto spesso nei ragazzi, quando presentiamo il libro, che sono molto più distratti e pieni di input. Per arrivare a loro, quando lo presentiamo cerchiamo di non parlare di masse e stermini, quanto della vita dei singoli individui, per coinvolgerli emotivamente.
Per concludere, un consiglio che vorreste dare a chi vorrebbe fare il fumettista?
Ferramosca: Munirsi di grande, enorme, pazienza! Per fare questo mestiere bisogna innanzitutto studiare molto, documentarsi in continuazione, “aprirsi alle storie” e approfondirle in diversi modi. Poi, nonostante questa sia già una fase complessa (parlo dal punto di vista dello sceneggiatore), ne arriva una che lo è altrettanto e cioè i contatti con gli editori. Non è semplice, non basta inviare un progetto, né recarsi alle fiere; esistono delle prassi da seguire in fiera e diverse modalità d’invio dei progetti in relazione alle varie politiche editoriali. Non è così facile farsi ascoltare e attrarre l’attenzione degli editori dinanzi alle numerose proposte dei colleghi, specie agli inizi. La classica gavetta da fare c’è ovunque, per cui: coraggio e determinazione e rialzarsi sempre, specie dinanzi alle porte sbattute in faccia.
De Francisco: leggere. Leggere tanto, e non solo fumetti, e disegnare molto. Molti vogliono produrre senza leggere i grandi maestri, e invece è necessario per avere dei punti di riferimento.
L’Unione Giovani Ebrei d’Italia (UGEI) è un’organizzazione ebraica italiana. Essa rappresenta tutti gli ebrei italiani di età compresa tra i 18 e i 35 anni. L’organo ufficiale di stampa UGEI è HaTikwa: un giornale aperto al confronto di idee.