Berlino: dal museo ebraico ai piccoli vicoli – parte I

berlinmuseum

Quella che segue è la parte I dell’articolo di Simone Bedarida da Berlino. Clicca qui per leggere la parte II [HT redazione].

Nel cuore del quartiere di Kreuzberg, ex settore americano, a pochi minuti a piedi dalla fermata della metropolitana Hallesches Tor, sorge imponente il celeberrimo museo ebraico di Berlino, realizzato nella sua versione attuale dal famoso architetto americano di origine polacca Daniel Liebeskind e inaugurato nel 2001.

È improprio tuttavia parlare del museo esclusivamente come un edificio in architettura contemporanea, dato che l’accesso allo stesso avviene dall’edificio in stile barocco (sede del vecchio museo e prima ancora del Kollegienhaus) sito proprio accanto a quello moderno, e apparentemente non collegato a esso. Ma il collegamento c’è, ed è sotterraneo, e questa non è una scelta casuale, secondo le parole di Liebeskind. L’architetto voleva evidenziare la forte connessione tra la società tedesca e il mondo ebraico.

Adesso però è tempo di entrare. Una scalinata conduce ai sotterranei, i famosi tre assi: l’asse della continuità, l’asse dell’esilio, e l’asse della Shoah. Anche il posizionamento di questi tre assi è studiato ad arte per stimolare nel visitatore una riflessione profonda. L’asse della continuità è rettilineo e regolare, e conduce ai piani superiori all’esibizione della storia ebraica in Germania. L’asse dell’esilio è una leggera deviazione da quella continuità di cui parlavamo poc’anzi, e ci racconta tramite oggetti e immagini le storie di ebrei tedeschi che a partire dagli anni ’30 decisero di fuggire dalla Germania, nella speranza di trovare un futuro migliore probabilmente negli Stati Uniti, o in Sud America. C’è chi si è ricongiunto ai propri cari e chi no. E per dare questa idea di dubbio, straniamento e tensione, l’asse dell’esilio si conclude nel giardino dell’esilio: un labirinto quadrato, generato da quarantanove alte colonne (sette per sette), tutte sovrastate da erba e cespugli; quella centrale ha la particolarità di avere terra che proviene da Israele. In questo labirinto il visitatore deve camminare e perdersi, immedesimandosi in chi a un certo punto intravede il proprio caro, ma quando pensa di averlo raggiunto, egli è sfuggito nuovamente. Lasciata l’asse dell’esilio, ci incamminiamo sull’asse della Shoah, il più simbolico, il più celebre. Il soffitto rimane sempre rettilineo, mentre il pavimento sale sempre di più, quasi a voler opprimere il visitatore. Lungo l’asse, vengono mostrate fotografie e cimeli appartenuti a coloro che sono stati deportati e purtroppo non sono mai più tornati a casa. Una volta ben preparati, è il momento dell’esperienza forse più inquietante e agghiacciante, la torre della Shoah. Una porta pesante conduce in una stanza buia, non climatizzata, altissima con la luce fioca che penetra tramite una stretta feritoia, ma arriva insufficiente, e chi sta dentro questa stanza non capisce più dov’è, non ha più il senso di cosa ci sia intorno, né dentro né fuori. Si crea angoscia. A un certo punto si intravede una scaletta attaccata alla parete, troppo alta per poter essere raggiunta. È la metafora di un mezzo di salvataggio, che per gli ebrei deportati sarebbe esistito, solo che per molti di essi è stato irraggiungibile, perché non sono riusciti ad arrivarci vivi.

Usciti da questa forte esperienza, ritornati nella luce, ci dirigiamo verso l’asse della continuità, che conduce a una scala molto lunga e che è progettata in modo che apparentemente non finisca mai, a simboleggiare il futuro degli ebrei ancora ignoto. Come detto all’inizio, l’asse della continuità dovrebbe portarci a vedere l’esibizione permanente sulla storia ebraica tedesca. Tuttavia, tale sezione è in riallestimento, e come “consolazione” il museo offre una mostra su Gerusalemme: posso dire che questa mostra vale il museo. Immagini, oggetti, filmati, plastici, ricostruzioni e sculture ci raccontano nel dettaglio la storia di Gerusalemme e la vita attuale, sotto tutti i punti di vista e senza tralasciare nessuno, dagli ebrei che pregano al Muro occidentale, ai pellegrini cristiani che vanno a visitare il Santo sepolcro, fino ai cittadini di etnia araba e religione musulmana presenti in Israele. Una sala è dedicata a Gerusalemme nel periodo romano, un’altra racconta la storia della città durante l’Impero Ottomano (spesso tralasciata dai vari programmi scolastici), per arrivare a un’interessante galleria fotografica degli hotel di lusso costruiti a Gerusalemme, e a un filmato riassuntivo di tutte le guerre dal 1948 a oggi. Un percorso lungo circa un’ora e mezzo, che fa proprio sentire a Gerusalemme e farebbe venire voglia di prendere un volo e andarci subito. Ma aprendo la porta di uscita del museo, la razionale architettura di Berlino ci ricorda che siamo in Germania e non in Israele. [continua]

Simone Bedarida


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