Alla (ri)scoperta della propria identità
La questione fondamentale che un individuo possa trovarsi ad affrontare durante la propria esistenza è quella identitaria. Crescere in un ambiente con tradizioni e origini diverse da quelle familiari può significare ritrovarsi a non identificarsi in nessun gruppo o insieme di persone, nella fattispecie a non sentirsi né ebreo, né italiano. Quale può essere la causa effettiva di questa mancanza di identificazione? Alla base dell’identità ebraica c’è la conoscenza della cultura, delle tradizioni, e soprattutto delle persone (essere ebrei per conto proprio è praticamente impossibile). L’assenza di qualcuno con cui condividere il processo conoscitivo risulta nella sensazione di non avere veramente un legame diretto con le proprie origini, se non quello familiare (ovvero con le origini stesse, quindi un legame tautologico). Nel contempo la consapevolezza di non condividere le origini con le persone che ci circondano porta ad un inevitabile distacco dal senso di nazione, e di qui la mancanza di identificazione come italiano.
Quando un notiziario italiano diffonde la notizia della morte di un connazionale non provo più dispiacere di quanto ne proverei per un qualsiasi altro ‘cittadino del mondo’. Questa visione cosmopolita, con i suoi pregi e i suoi difetti, è un effetto collaterale dell’essere ebreo in un ambiente estraneo, e se da una parte riflette un ragionamento razionale, dall’altra non corrisponde alla realtà, perché la natura umana non funziona in questo modo: essere liberi da qualsiasi precetto e tradizione ci rende prigionieri di noi stessi. La vera importanza del processo conoscitivo delle proprie origini sta nel potersi sentire parte di qualcosa che riceviamo come una sorta di eredità spirituale e che si traduce con una complicità precondizionata con le persone che condividono questa eredità. Nella città di Zefat, dove ha avuto origine la qabbalah, abbiamo ascoltato la storia dell’albero di carruba, i cui frutti potranno essere assaporati solo dalle generazioni successive a quelle di chi ha piantato l’albero.
Questa semplice metafora riassume il senso dell’esperienza vissuta grazie a Taglit Italia, che è riuscita in qualche modo a trasmettere quell’eredità dimenticata. Vivendo la terra di Israele con l’intensissimo programma di Birthright, abbiamo avuto la possibilità di rivivere la storia vissuta dai nostri antenati e comprendere meglio la situazione attuale del popolo ebraico e dello Stato di Israele. Il processo conoscitivo mancato fino ad oggi, è ora cominciato con l’entusiasmo della Scoperta (che non a caso è proprio il significato di Taglit) ed ha consentito anche ai più secolarizzati di scoprire un forte legame con le proprie origini. Quand’ero bambino, un giorno portai alla scuola elementare alcuni oggetti caratteristici dell’ebraismo e quando mi chiesero come si fa a suonare lo shofar risposi con orgoglio genuino che solo gli ebrei lo sanno suonare. Grazie a questo viaggio sono riuscito a ritrovare quall’orgoglio perduto durante l’adolescenza, suonando – come dice una preghiera del mattino – il grande shofar per la nostra libertà.
Mario Davide Roffi
L’Unione Giovani Ebrei d’Italia (UGEI) è un’organizzazione ebraica italiana. Essa rappresenta tutti gli ebrei italiani di età compresa tra i 18 e i 35 anni. L’organo ufficiale di stampa UGEI è HaTikwa: un giornale aperto al confronto di idee.