Aliyah: sulla soglia dell’indeterminatezza

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chagallIn questo disordine generale in cui l’Europa ristagna da anni, si fa sempre più pressante l’idea di un ritorno in massa degli ebrei in Terra di Israele. Questa è una costante della tradizione ebraica che culmina con la venuta del Messia e che con il tempo è divenuta l’unica alternativa a un mondo che appare sempre più intollerante e inospitale. L’aliyah è il pellegrinaggio o, per meglio dire, quel cammino in salita compiuto per raggiungere Gerusalemme durante i tre pellegrinaggi prescritti per le festività di Pesach, Shavuot e Sukkot. Da un secolo però la parola assume un contenuto differente: essa è sinonimo di sicurezza per gli ebrei della diaspora. Ogni qual volta si presenta incertezza politica ed economica si pensa a Israele come terra materna pronta ad accogliere chi ha bisogno di professare la propria identità ebraica liberamente. Questa certezza va però barattata con l’insicurezza provocata dalla guerra e molti sono ben disposti a convivere con la seconda per ottenere la prima. Il fenomeno provoca svariati effetti sull’orizzonte ebraico ma anche più genericamente su quello collettivo. L’aspetto ideale o religioso della faccenda va però sommato a quello economico.

Israeli passports passport sitting on an open passport with passport stampsInfatti si può dire che sia la crisi economica la chiave di lettura del fenomeno dell’aliyah nel 2009, quando i paesi con il maggior tasso di disoccupazione sono stati proprio quelli che hanno visto andar via il maggior numero di cittadini verso Israele di cui il 60 % ha meno di trentacinque anni. Lo Stato è pronto a offrire numerose alternative in termini di lavoro e istruzione che allettano chi in Europa non vede che disoccupazione.

Questa è la sintesi di ciò che è avvenuto alcuni anni fa e che si ripresenterà in modo ancora più massiccio se le condizioni socio-economiche non cambieranno a breve. L’aliyah assume così un significato più ampio. Ciò che all’origine si limitava a descrivere il pellegrinaggio ora definisce l’ascesa  in senso fisico, come immigrazione, che ingloba a sua volta anche la crescita economica.

Diverse domande sorgono spontanee: quale sarà il futuro per gli ebrei della diaspora? O più precisamente: vi sarà futuro? Come si dovrà declinare il rapporto tra ebraismo e diversità se il cittadino ebreo della diaspora è destinato a tornare nella terra d’origine? È dovere ricordare che la forza del popolo ebraico nei secoli è stata quella che ha recato ai suoi membri maggiore pena e sofferenza: il dover coniugare la propria identità con la diversità della nazione che lo ospita. Questa incertezza d’altro canto ha determinato un vantaggio notevole: la capacità di guardare le cose con occhio distaccato pur essendo pienamente coinvolti. In un paese in cui domina la somiglianza le tradizioni distinte verranno sempre più a offuscarsi e il rapporto con la diversità sempre più a scemare. Ciò che ci rende sicuri è ciò che a lungo andare ci svuoterà. Sarà dunque ancora possibile mantenere quell’attitudine all’analisi critica che è possibile trovare quando si è pienamente dentro e parzialmente fuori?

Marta Spizzichino, di Roma, studia filosofia alla Sapienza
Marta Spizzichino, di Roma, studia filosofia alla Sapienza


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