Aby Wargurg: amburghese nel cuore, ebreo nel sangue e di animo fiorentino
di Lea Foà
Proviamo ad immaginare una popolazione che non ha memoria storica; questa ipotetica popolazione a questo punto non è degna di essere chiamata tale, ma si tratta di un gruppo di individui che hanno condotto la loro vita in periodi temporali differenti, legati solamente da una percentuale indefinita di DNA.
Facendo questo esercizio mentale, ci rendiamo conto di quanto la memoria storica sia una componente fondamentale per la popolazione di ogni società.
La memoria storica è la parte cosciente del nostro passato che si può imparare e conoscere, attraverso i libri di storia e le testimonianze delle generazioni più anziane.
Esistono tuttavia anche aspetti inconsci del carattere di un popolo (radicati nella sua storia), che, come quelli individuali, spesso si rivelano nell’opera d’arte. Questi ultimi sono stati l’oggetto degli interessi dello storico dell’arte Aby Warburg, fondatore dell’iconologia.
L’iconologia è una branca della storia dell’arte che si occupa di ricercare la spiegazione delle immagini e dei simboli nelle opere dell’arte.
Aby Warburg, nato nel 1866 ad Amburgo da un’ affermata famiglia di banchieri ebrei, si definì amburghese nel cuore, ebreo nel sangue e di animo fiorentino.
In forza di un accordo stipulato con suo fratello minore, Aby Warburg scambiò la sua ”primogenitura“ e con questa il suo diritto ad ereditare la conduzione della banca di famiglia, con la prerogativa di poter acquisire qualsiasi libro da lui richiesto.
Contrariamente a quanto si possa pensare, con il tempo pare che l’accordo risultasse più vantaggioso per Aby che per suo fratello.
Il famoso critico d’arte infatti era un avido lettore, che arrivò ad avere una libreria che contava più di 60.000 libri alla sua morte.
La collezione fu trasferita a Londra prima dell’avvento del nazismo.
Tra le ricerche più famose di Warburg, spicca su tutte la sua interpretazione dei personaggi raffigurati nel ciclo delle stagioni di Francesco Del Cossa nel palazzo di Schifanoia a Ferrara: personaggi che hanno vissuto indisturbati senza essere riconosciuti per anni.
In particolare l’interesse di Aby era indirizzato verso la presenza in di questi affreschi di simboli e personaggi estranei alla cultura cristiana.
In particolare
- un uomo adirato vestito di stracci che aveva intorno alla vita una fune di cui reggeva un capo nella mano sinistra con il volto scuro e un’ascia che spuntava dalla cinta.
- Un uomo seminudo a cavallo del toro con una grande chiave.
- Dei guerrieri vestiti in strane e diverse fogge che impugnavano le lance alla destra dei riquadri.
Qual era l’origine di quel ciclo zodiacale così carico di simboli e messaggi? Da quali remote tradizioni venivano quelle figure? Per quali vie erano giunte fino al Cossa?
Nel 1909 Warburg aveva cominciato la lettura di un noto testo di astrologia, che trattava lo sviluppo delle speculazioni astrologiche e astronomiche dei greci, attraverso le loro influenze sulla cultura araba e su quella medievale (“Sphaera” di Franz Boll). Nell’ambito di questa lettura s’imbatte nella traduzione di un testo dell’astrologo arabo Abu Mashar.
Questa a sua volta si rifaceva ad una versione indiana di un testo più antico sempre astrologico, che documentava con molti particolari i segni dello zodiaco indiano, sotto il cui dominio si radunavano i trenta gradi spettanti ciascuno segno.
Il primo di tali decani veniva descritto come un signore con la pelle scura dallo sguardo feroce, con una fune intorno al polso ed un’ascia bipenne alla vita.
Era il Perseo che appare sul cielo notturno in prossimità del Ramadan. Perseo si era trasformato in costellazione per sopravvivere all’avvento del cristianesimo ed era migrato ad oriente, dove la cultura indiana e poi quella araba lo avevano nascosto tra le stelle.
Ora, seguendo tale teoria ne derivava che nella Ferrara rinascimentale e nella rappresentazione del Cossa, quel mito era finalmente risorto, aveva riacquistato i suoi tratti antropomorfi e il suo antico significato; era tornato ad impersonare l’eroe che cattura ed uccide il mostro per salvare Andromeda, ma il suo coraggio e la sua forza erano diventati un’allegoria politica del buon governo degli Estensi (signori di Ferrara ai tempi del Cossa).
Trovata la chiave poteva ora riconoscere quella folla di dei ed eroi che abitavano la sala dei mesi del palazzo Schifanoia:
- Pallade che proteggeva marzo il mese dell’ariete
- venere il toro e l’aprile
- apollo i gemelli e il maggio
- Mercurio il cancro e il giugno
- Giove il segno del leone e il mese di luglio
- Cerere il mese di agosto
- Vulcano la libra che andava unita a settembre
Queste divinità erano giunte a Ferrara attraverso la Spagna, ma il loro peregrinare era cominciato molti secoli prima: infatti, i loro viaggio iniziò dalla Grecia all’Asia minore, per poi passare in India, fino ad arrivare a Ferrara
Nel maturo Medioevo erano approdati in Italia sotto forma di personaggi popolari in calendari astrologici e nel gioco dei tarocchi; solo nel rinascimento avevano ritrovato i loro nomi e i loro volti ed erano tornati ad essere sé stessi: simboli di bellezza, di pathos, e di libertà.
Warburg era convinto che ridurre l’analisi di un’opera d’arte a una mera questione formale fosse un approccio non solo limitante, ma anche da evitare e addirittura da disprezzare. Infatti, riteneva che le immagini fossero icone cariche di significati aventi una stretta relazione con la cultura e la memoria di una società
Le immagini, in altri termini, hanno una storia, perché un’immagine sopravvive alle epoche e rimane attraverso il tempo, seguendo stili diversi: non a caso, Warburg parlava proprio di Nachleben, ovvero di “sopravvivenza”.
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