Sionismo: ieri e oggi
HaTikwa, di David Zebuloni
Settant’anni sono passati dal giorno in cui David Ben Gurion proclamò, con quella sua voce un po’ gracchiante e i capelli candidi come zucchero filato, la fondazione dello Stato di Israele. Settanta lunghi anni dal giorno in cui lo Stato di Israele mosse i suoi primi passi nel medio oriente e nel mondo con il coraggio e l’incoscienza tipica di un bambino ancora ignaro di quelli che sono i grandi pericoli della vita. Settant’anni di invenzioni straordinarie, certo, ma anche di guerre drammatiche e, come tutte le guerre, brutali e sanguinarie. Settant’anni assolutamente lontani da ogni definizione di ordinario, emozionanti in ogni loro singolo aspetto, che hanno sconvolto la cartina geopolitica e riscritto i libri di storia. Israele è cambiata, è maturata. Da mucchio di sabbia è diventata una macchia di verde.
Proprio così, una macchia di verde nel deserto. Un miraggio, forse, un’oasi per i più romantici. Dalle rovine perfettamente conservate a Gerusalemme, ai grattacieli simili a quelli americani che caratterizzano il panorama di Tel Aviv, Israele è diventata negli anni un esempio di libertà e democrazia, un simbolo di tecnologia e sviluppo sicché abitarci è diventato un prestigio, un privilegio, una garanzia di benessere e prosperità. Ed ecco la falla. Una falla travestita da domanda lecita che sorge quasi spontanea sulla lingua dei benpensanti: esiste ancora il sionismo nel 2018? Si può considerare sionismo il moto a luogo verso un luogo tanto idilliaco? Certo, migrare in Terra Santa ai tempi della fondazione prevedeva sfide che oggi ci paiono inimmaginabili, ma possiamo ancora parlare di pionierismo?
Beh, procediamo con ordine. Il sionismo è cambiato, per certi aspetti è maturato proprio come è maturato lo stesso Stato di Israele, per altri invece è retrocesso al punto di sembrare un ricordo lontano, di quelli in bianco e nero. Se un tempo in Israele ci si arrivava sulle navi, ora ci si arriva con un volo low cost. Se un tempo le case erano fatte di legno e di latta, ora sono fatte di ferro e di cemento. Se un tempo le guerre si facevano con le armi più elementari e primitive, ora a difendere i cittadini vi è l’Iron Dome e gli F-35. In sostanza, se un tempo abitare nello Stato di Israele era un rischio ed un sacrificio, oggi abitarci è un lusso pari ad abitare a Manhattan, Berlino o Hong Kong.
La logica e il buonsenso dunque ci spingono a credere che essere sionisti nel 2018 sia ben più semplice di quanto lo sia stato nel 1948, eppure non è così. Il sionismo è un ideale, una visione, un valore e come tale va alimentato, fomentato, stimolato. Se nel 1948 essere sionista provocava una certa dose di adrenalina ed un inebriante senso di trasgressione, nel 2018 l’adrenalina è diventata burocrazia e la trasgressione pura convenienza. Essere sionisti oggi richiede impegno e dedizione, prevede la capacità di pensare fuori dalla scatola, di seguire il cuore e non la testa. Essere sionisti oggi è una sfida, è la capacità di vedere l’oasi nell’oasi e non più nel deserto, di vedere la macchia di verde nel mucchio di sabbia per quel che è: un miracolo, un sogno realizzato, un ritorno a casa. Essere sionisti oggi significa amare Israele di un amore incondizionato, con lo stesso trasporto di chi il paese l’ha costruito con le proprie mani. Significa non condannare le sue politiche e non scappare di fronte ai prezzi vertiginosamente alti del latte e delle case. Essere sionisti nel 2018 è un’ardua prova, la più importante a cui il popolo ebraico è sottoposto nell’era del 2.0, nell’epoca dell’odio educato e dell’antisemitismo innocente. Per esserlo, ma esserlo per davvero, bisogna nuotare controcorrente con tutte le proprie forze. Nuotare contro i vicini di casa allusivi e i social network schierati, contro le notizie false e le critiche distruttive travestite da costruttive. Bisogna nuotare senza tregua, affrontare con cocciutaggine e un pizzico di coraggio le intemperie del fiume in piena. Perché d’altronde si sa, solo i pesci morti seguono la corrente. E Israele vive, oggi più che mai.
Articolo tratto da “1948-2018: Sionismo ieri e oggi”, a cura di Ugei, Delet, Giovane Kehillà
L’Unione Giovani Ebrei d’Italia (UGEI) è un’organizzazione ebraica italiana. Essa rappresenta tutti gli ebrei italiani di età compresa tra i 18 e i 35 anni. L’organo ufficiale di stampa UGEI è HaTikwa: un giornale aperto al confronto di idee.