Lampi di fuoco a Beirut: ucciso Hassan Nasrallah, capo dei terroristi di Hezbollah
di David Di Segni
Mentre il premier Benjamin Netanyahu teneva un discorso nel Palazzo di Vetro a New York, sede delle Nazioni Unite, per ribadire la linea politica d’Israele, l’IDF ha bombardato il Quartier Generale dei terroristi di Hezbollah a Beirut. L’utilizzo dei missili anti-bunker, che Israele si è auto-fabbricato dopo il rifiuto USA a fornirglieli, mirava a uccidere le teste di serie dei terroristi sciiti filoiraniani libanesi. Dopo ore di incertezza, stamattina la conferma di Tzahal:” Hassan Nasrallah non potrà più terrorizzare il mondo”. Il capo del “Partito di Dio” e il suo successore sono stati uccisi. Alla notizia ha fatto eco l’esultanza degli arabi oppressi di Siria e Libano, oltre che il sospiro di sollievo del mondo libero. Nasrallah aveva apertamente condannato guerra allo Stato ebraico e agli Stati Uniti, fungendo da avamposto dell’Iran che, attraverso il profilo X dell’Ayatollah Khamenei, giorni addietro aveva scritto “Hezbollah è la vittoria”. Appare ora evidente che le parole di Netanyahu all’ONU contro l’Iran – “Se ci colpite, vi colpiremo. Non c’è un posto in Iran che non possiamo raggiungere. E questo vale per l’intero Medio Oriente” – fossero premonitrici. L’operazione dei cercapersone e quella contro il QG di Hezbollah arrivano dopo mesi di missili lanciati dal sud del Libano contro i civili israeliani, con il conseguente sfollamento dei residenti nella Galilea che attendono di tornare a casa. Ma non solo. Sono anche il sintomo di un rinsavimento di IDF e Mossad, segnati ancora dal fallimento del 7 ottobre, e un avviso preciso al regime degli Ayatollah. L’Iran è conscio delle infiltrazioni che Israele, negli anni, è riuscito a costruire nel Paese. Già Yossi Cohen, ex capo dei servizi israeliani, disse che “Israele, in Iran, ha occhi, orecchie e molto altro ancora”, e il timore verso la capacità militare israeliana si somma quindi a quello per le migliaia di dissidenti iraniani che attendono il segnale per ribellarsi alla teocrazia di Teheran.
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